Se vuol sapere a cosa assomiglia la dolcezza del vivere sull’altra sponda del Mediterraneo – per chi riesce a godersela anche in tempi di crisi – lo straniero dovrebbe fare un giro a La Marsa, la bella e tollerante città bianco-blu sul lungomare a nord di Tunisi. E dovrebbe farlo in fretta, perché le cose stanno rapidamente cambiando, qui come nel resto della Tunisia, e non tutte in meglio.
A La Marsa gli stranieri più danarosi e avveduti hanno iniziato a venire tempo fa seguendo i Bey, i sovrani tunisini che tra gli aranceti e la pineta della città costruirono a inizio dell’ottocento palazzi dove passare i mesi più caldi. Qui i tunisini ancora oggi si mescolano ai forestieri; e i musulmani ai pochi ebrei rimasti che frequentano la sinagoga Keren Yéchoua – anch’essa rigorosamente bianca e blu, come una casetta greca.
A La Marsa arrivano da Tunisi e da più lontano per la spiaggia e per la dolce vita, di giorno nei caffè – il mitico Saf fu definito il più bello del pianeta da Le Monde – e di notte nelle discoteche. Alcuni visitatori dopo il giro dei caffè fanno anche quello delle gallerie d’arte, specie nei primi giorni di giugno quando il Palazzo Abdellia ospita La Primavera delle Arti, la più quotata e trasgressiva fiera dell’arte contemporanea tunisina.
Quest’anno le cose sono andate male. Prima ancora dell’apertura della fiera, gli organizzatori hanno rimosso un quadro intitolato “La Repubblica IsLaica”, giudicato poco opportuno. Non è bastato però a rabbonire gli indignati visitatori barbuti. L’istallazione “Il Ring” di Faten Gaddes – che ritrae donne cristiane, musulmane ed ebree in forma di punching ball – non è piaciuta. E sono piaciute ancora meno le opere di Mohamed ben Slama. La donna circondata da uomini barbuti che tiene un piatto di cuscus ad altezza della vagina ha inorridito i rigidi custodi della morale. E “Bismillah” (“nel nome di Dio”) scritto con le formiche li ha fatti definitivamente infuriare. Prima il sito della fiera è stato intasato da maledizioni contro i miscredenti, poi è arrivata on-line una lista nera di artisti da uccidere, e infine, i gruppi più radicali sono passati alle vie di fatto.
L’assalto inizia la sera di domenica scorsa, l’ultimo giorno della fiera, quando alcuni uomini fanno irruzione nel palazzo e vandalizzano le opere blasfeme. Lunedì la situazione degenera. Gli obiettivi nel mirino si moltiplicano – dalle stazioni di polizia alle sedi del principale sindacato tunisino – e gli scontri dal focolaio di La Marsa si estendono prima alla vicina Cartagine, dove i soldati presidiano il palazzo presidenziale temendo il peggio, poi oltre la Grande Tunisi. Al punto da indurre le autorità a imporre un coprifuoco di otto ore in sette regioni del paese per la notte successiva.
La calma sembra ora tornata anche a La Marsa, ma l’ennesima esplosione di collera si porta dietro un carico di interrogativi, sospetti e foschi presagi sulla Tunisia che verrà. La tesi di una rivolta spontanea – visti gli attacchi simultanei in diverse città – trova pochi sostenitori. E la tempistica fa pensare al peggio. Perché l’assalto alla Primavera dell’Arte è iniziato poche ore dopo l’appello del numero uno di al Qaeda Ayman al Zawahiri, che domenica ha incitato i tunisini a rovesciare il governo guidato dagli islamisti (troppo) moderati di Ennahda.
Il ministro della giustizia Nourredine Bhiri accusa dell’operazione gli ultra-conservatori salafiti che hanno da tempo avviato un jihad più o meno incruento contro la Tunisia laica e liberale. A ottobre scorso hanno attaccato la sede della televisione Nessma, rea di aver trasmesso il film d’animazione franco-americano Persepolis, che si azzarda a dare un volto ad Allah. E solo pochi giorni fa a Jendouba è partito un fitto lancio di bombe molotov contro una stazione di polizia, dove erano detenuti degli attivisti che avevano partecipato alle ormai rituali spedizioni punitive contro le rivendite di alcolici.
I salafiti però questa volta negano, e alcuni analisti e attori politici – in primis il partito comunista tunisino – sospettano che dietro ai disordini si nascondano gli agenti dell’ancién régime, pronti a usare fanatici e delinquenti comuni (molti degli assalitori sembravano appena usciti da una prigione, più che da una moschea, raccontano testimoni al sito “rivoluzionario” Nawaat) per destabilizzare il nuovo ordine.
Qualunque sia la matrice dell’attacco, la campana oggi suona innanzitutto per Ennahda. Il modello islamista moderato è una minaccia per i qaedisti, che temono di perdere adepti in caso di successo, spiega al quotidiano tunisino Le Temps il professor Alaya Allani, massima autorità locale in fatto di estremisti. Ma la fragilità del tessuto socio-economico su cui va costruito il nuovo ordine rende oggi la Tunisia ancora più vulnerabile alla predicazione radicale e alle sonnecchianti cellule jihadiste.
Per far fronte alla sfida, Ennahda deve però risolvere anche alcune ambiguità – se sono risolvibili – nei suoi rapporti con la libertà di espressione. Quelle per intenderci che hanno portato un tribunale tunisino a condannare l’editore della Tv Nessma per aver “trasmesso un film che disturbava l’ordine pubblico e minacciava la morale” – e non i suoi assalitori. E hanno suggerito al ministero della cultura di far uscire un comunicato in cui “condannava ogni forma di aggressione alla religione, evidente in alcune opere esposte” a La Marsa. Anche se lo stesso ministero, secondo il direttore artistico della Primavera delle Arti, ne avrebbe già comprate quattro, inclusa quella che fatto più arrabbiare gli islamisti. Ritrae un barbuto inferocito con i denti da vampiro, pronto ad azzannare il paese.