Italiani? Niente credito. Nei primi cinque mesi del 2012 le banche tedesche hanno ridotto del 25% i prestiti alle imprese e alla clientela della Penisola, ritornando ai livelli del 2005. Una contrazione di gran lunga superiore rispetto al totale dell’anno scorso (-7%). A dirlo un report della Bundesbank, l’istituto centrale guidato da Jens Weidmann, analizzato dalla banca statunitense Morgan Stanley e ripreso dal Financial Times.
I dati evidenziati dalla Buba sono impietosi: da gennaio a fine maggio i finanziamenti in direzione Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) sono scesi di 55 miliardi di euro rispetto al 2011, a quota 241 miliardi (-18%). E dire che gli istituti tedeschi non hanno grossi problemi, almeno a guardare dai rendimenti negativi dei Bund che detengono in portafoglio. Che Berlino abbia iniziato a fuggire da Roma non è notizia di oggi. Esattamente un anno fa, era il 2 agosto, fece scalpore la riduzione dell’esposizione di Deutsche Bank al debito italiano dagli 8,01 miliardi di fine 2010 ai 997 milioni del 30 giugno 2011. O ancora, a fine 2001, le restrizioni imposte dalla Bafin, il regolatore tedesco, a Hvb nei trasferimenti alla capogruppo Unicredit.
A stupire in questo caso è l’accelerazione dei disinvestimenti, a velocità più che triplicata in dodici mesi. Il rubinetto è chiuso, e i volumi sono pari a quelli di 7 anni fa. Il rischio, per gli analisti di Morgan Stanley, è la balcanizzazione, cioè il progressivo isolamento degli Stati comunitari nei propri sistemi finanziari. È quello che gli economisti definiscono home bias, cioè la tendenza degli investitori a detenere una quota del proprio portafoglio in investimenti del proprio Paese maggiore di quanto l’allocazione razionale delle risorse vorrebbe.
È questa la «frammentazione finanziaria» accennata da Mario Draghi tre giorni fa, quando ha pronunciato le fatidiche parole che hanno rassicurato i mercati: «La Bce è pronta a fare tutto il necessario» per salvare l’Eurozona. In parte il discorso vale anche per la Francia, che ha un rapporto tra attivi e impieghi sceso da 700 a 450 miliardi di euro da metà 2010 a oggi. Nel quarto trimestre 2011gli impieghi delle banche transalpine in Italia ammontavano a 70 miliardi di euro. Una cifra destinata a scendere.
Nel frattempo, Berlino continua a marciare in controtendenza rispetto al resto dell’Eurozona. Secondo un calcolo di Nomura, se i tassi sui titoli del Tesoro rimarranno costanti per i prossimi sei mesi – 0,095 il biennale, 0,215 il quinquennale e 0,235 il decennale – il dividendo per i tedeschi sarà di 21 miliardi di euro l’anno. C’è chi è più conservativo, come Jens Boysen-Hogrefe, economista presso l’Institute for World Economy di Kiel: «La Germania risparmierà soltanto quest’anno 10 miliardi di euro grazie ai bassi tassi sul debito», ha detto l’esperto all’Associated Press.
Nel 2009, nota ancora Boysen-Hogrefe, Berlino stimava di spendere 52 miliardi nel 2013 in interessi sul debito, mentre ora la cifra è scesa a 20 miliardi. Comparando i rendimenti delle obbligazioni nel periodo 1999-2008, l’economista ha calcolato che i risparmi da qui al 2022 sulle emissioni esistenti fino al 2009 compreso sarà di 68 miliardi di euro. Come si arriva a questa cifra? In generale, se il debito totale della Germania è di circa 2mila miliardi di euro, l’1% equivale a 20 miliardi. I tecnici del ministro Schauble lo sanno bene, e pensano di arrivare a un rapporto tra debito e Pil all’80% entro il 2016. Ridurre il debito senza tagliare la spesa, un sogno per quasi tutti i governanti in Eurozona, per Angela Merkel è un obiettivo scritto nero su bianco per presentarsi vincente all’appuntamento elettorale del 2013.
Naturalmente, il dividendo tedesco non finirà di certo nel sistema finanziario italiano. Standard & Poor’s, in un report diffuso oggi, ha lanciato l’allarme proprio sul deleveraging, definito come un tappo alla crescita economica. L’agenzia di rating ha abbassato le sue stime sul Pil aggregato europeo in discesa dello 0,6% nel 2012 e a crescita quasi zero (+0,4%) nel 2013, rispetto a invariato e 1% della precedente rilevazione, anche per via di un rallentamento della domanda da parte dei Bric. «Riteniamo che ci sia il 40% di possibilità che le economie europee finiscano in una seconda recessione nel 2013, in particolare: se una restrizione dei prestiti in alcuni mercati emergenti ritarderà la ripresa nel commercio globale, se uno dei principali Paesi dell’Eurozona dovesse perdere l’accesso ai mercati per periodo di tempo prolungato, oppure se la riduzione della domanda da parte dei consumatori dovesse essere ancora pronunciata», ha detto ieri Jean-Michel Six, capo economista dell’area EMEA di S&P.
Contrazione dei prestiti nel primo trimestre 2012 (Fonte: Morgan Stanley)
E mentre nel primo trimestre di quest’anno l’andamento annualizzato dei prestiti a famiglie e imprese evidenzia una contrazione che va dal 5 al 10% per tutte le principali banche italiane, gli istituti tedeschi, francesi, belgi e olandesi aumentano gli impieghi dal 2 al 4 per cento. È questa disparità il vero «bagno di sangue».