Il sistema legale cinese è il sogno di molti politici italiani

Il sistema legale cinese è il sogno di molti politici italiani

Diciamoci la verità, è il sogno di alcuni politici – vediamo se ve ne viene in mente qualcuno – un sistema giudiziario completamente asservito alla politica, in modo chiaro, netto, senza un’ombra di dubbio. Giudici in grado di incarnare, giustificare e redimere contese politiche a comando. 

E in Cina tutto questo è una realtà, confermata dalla recente condanna a morte, con sospensione dopo due anni di buona condotta, inflitta a Gu Kailai, la moglie dell’ex potente boss del PCC di Chongqing, Bo Xilai, nell’ambito dello scandalo che ha sconvolto il gotha politico locale. La sentenza ha comportato alcune riflessioni, su cui proviamo a fare chiarezza: come funziona un processo penale cinese e cosa significa jianhou, il nome cinese dato alla pratica della pena di morte con sospensione.

«Da noi si discute di separazione delle carriere, ma in Cina non soltanto il pubblico ministero, ma anche i giudici dipendono dal potere politico», ha spiegato a Linkiesta Renzo Cavalieri, Professore di Diritto dell’Asia Orientale nell’Università Cà Foscari di Venezia: «È questo il tema principale, la dipendenza dei giudici dalla politica». Una dipendenza, per altro, prevista dalla legge stessa. Basti pensare al meccanismo di nomina o rimozione all’interno del processo stesso: «I giudici come i procuratori sono organizzati secondo un ordine gerarchico».

«Per quanto riguarda il processo cinese – ha affermato Cavalieri – si può parlare di un sistema ritualistico. Nei casi importanti, e il caso Gu Kailai è senza dubbio tale, il controllo è diretto. Il giudice si attiene agli elementi emersi, ma soprattutto segue ciò che decide il potere unitario dello Stato».

Il processo Gu, sicuramente è stato un processo strano, ha sottolineato Cavalieri. Sia per la parte istruttoria, sia per quella legata alle indagini con il cadavere del britannico cremato, ma del quale fu conservato un brandello utile per le indagini, sia perché il processo è stato celebrato a porte chiuse, con poche persone ammesse alla corte. C’è stato inoltre una poca chiarezza nell’attribuzione di competenza a un tribunale dell’Anhui (roccaforte del presidente Hu Jintao) e non del Sichuan dove le interconnessioni politiche erano troppe e il peso della famiglia Bo troppo ingombrante. «Altro punto poco chiaro – ha sottolineato Cavalieri – è stato il resoconto apparso in rete poco dopo la conclusione, nonostante le severe pene cui rischia di andare incontro chi è accusato del reato di divulgazione di segreto di Stato».

Report che per altro ha finito per aumentare i dubbi circa tutto il procedimento, ma che indicava una chiara direzione di arrivo: «La stessa sentenza è dura e simbolica al tempo stesso», ha aggiunto Cavalieri, «negli ultimi anni si è fatto molto ricorso alla pena di morte con sospensione di sentenza per ridurre il numero di esecuzioni. Nel caso Gu c’è anche un elemento di diritto che viene chiamato implicitamente in causa: il processo segue la gestione della lotta contro la criminalità a Chongqing durante il mandato di Bo Xilai condotta senza il rispetto delle procedure». Una mano morbida come contrappasso per le torture e le procedure al di fuori della legge attuate dalla politica della coppia Bo Xilai Wang Lijun.

La commistione tra potere politico, giudiziario ed economico – inoltre – favorisce in alcuni casi la corruzione: «Facciamo un esempio – suggerisce il professor Cavalieri – su dieci giudici corrotti, tre saranno incriminati e riceveranno condanne pesanti, gli altri sette riusciranno invece a far valere le proprie connessioni. Nel diritto commerciale e civile – conclude Cavalieri – questo a vuole dire che bisognerà considerare di volta in volta quale giudice si avrà davanti e capire le sue connessioni».

Ci sono poi ulteriori considerazioni da fare sulla sentenza in sé, ovvero una condanna a morte sospesa dopo due anni di buona condotta e tramutata in ergastolo. Innanzitutto, dal maggio del 2011, la Corte Suprema del Popolo ha invitato le corti locali ad applicare questo tipo di sentenza, in modo da diminuire l’alto numero di condanne capitali. Secondo quanto scritto dagli esperti locali, si tratta in ogni caso di una consuetudine che ha origine nella legislazione durante la dinastia Qing (1644-1911), per regolarizzare il banditismo (Trial of Modernity: Judicial Reform in Early Twentieth-Century China, 1901-1937, Xiaoqun Su, Stanford University Press). La norma prevedeva la sospensione della pena di morte (jianhou) nel tentativo di ornare di misericordia confuciana la sentenza capitale. Fu poi Mao a riadattare la pratica nel 1951, per i crimini gravi ma che non costituivano un danno per la vita dello stato della neo nata Repubblica Popolare Cinese.

Secondo un report apparso sul sito internet di una organizzazione per i diritti umani di San Francisco, The Dui Hua Foundation, «la stragrande maggioranza delle sentenze di morte con due anni di sospensione, vengono commutate in ergastolo dopo due anni, e le persone condannate all’ergastolo posso essere messi ai domiciliari per motivi di salute dopo sette anni». Il caso di Gu sarebbe uno di questi, potenzialmente, dato che la donna avrebbe ricevuto trattamenti medici per «l’insonnia cronica, ansia e depressione, paranoia» e avrebbe «sviluppato un certo grado di dipendenza fisica e psicologica da sedativi ipnotici, che portano a disturbi mentali», secondo quanto riferito dal China Daily.

In generale, conclude la Dui Hua Foundation, «le persone condannate a morte con due anni di sospensione servono una media di 18 anni di carcere, secondo un rapporto pubblicato nel 2006 dal Metropolis Yanzhao Daily. Questa cifra potrebbe essere aumentata a seguito della modifica al diritto penale cinese nel 2011». 

*China Files

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