Sono state le domande della settimana: è giusto tassare di tre centesimi le bottigliette di aranciata o gassosa o altri cibi spazzatura? E soprattutto: davvero questi alimenti sono così dannosi? Secondo Gianvincenzo Barba, ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), «non bisogna criminalizzare gli alimenti in sé, ma gli stili di vita e i comportamenti alimentari». La soluzione per combattere la tendenza all’obesità nel nostro Paese, soprattutto tra i bambini, «può essere quella della tassazione dei cibi più dannosi, ma solo se combinata con misure che promuovano l’educazione alimentare», spiega l’esperto. Perché «il conto delle calorie da solo non basta».
Partiamo dalle definizioni. Cos’è il cibo spazzatura o junk food?
Con questa espressione vengono indicati gli alimenti poveri di nutrienti e ricchi di calorie, quindi di carboidrati, che accrescono la tendenza all’aumento di peso. Non sono alimenti completi, né nutrienti, sia dal punto di vista della qualità sia dal punto di vista della quantità. Un esempio sono proprio le bibite gassate di cui si è molto parlato questa settimana, che sono ricche di zuccheri.
Sono davvero alimenti così dannosi?
Non sono alimenti cattivi di per sé. Ma questo tipi di cibo non devono certo costituire la parte più importante della nostra alimentazione. In questo caso, sono dannosi.
Qual è la quantità massima di cheeseburger o Coca Cola che si può consumare in una settimana?
Non esiste una quantità consigliata in assoluto. Dipende dal metabolismo, ma anche dallo stile di vita di ciascuno. Se ci fosse un consumo settimanale, non ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Ancora di più se fosse un consumo quindicinale. Per assurdo, se gli zuccheri assunti con un bicchierone di cola fossero gli unici, non ci sarebbe alcun danno. Dipende molto dal singolo individuo. Non esiste una ricetta per tutti.
Anche per i bambini?
Sì, anche in questo caso le quantità variano in base alle condizioni individuali. Ma per i bambini, oltre al consumo in sé, è importante il fattore educazione alimentare. Facendo consumare abitualmente bibite gassate e zuccherate o cibi spazzatura ai più piccoli, si rischia di far acquisire loro comportamenti alimentari sbagliati e l’abitudine a consumare alimenti dolci o ricchi di grassi. Se ci si abitua al gusto dolce degli alimenti, si avrà sempre la tendenza a preferire questi cibi ad altri più sani.
Quanto sono importanti le dimensioni delle confezioni dei cibi?
Negli ultimi anni c’è stato sicuramente un aumento di dimensioni delle porzioni di consumo degli alimenti. Certo, la dimensione del bicchiere, nel caso delle bevande zuccherate è fondamentale. Così come quando il cardiologo consiglia di bere un bicchiere di vino al giorno. Si intende un bicchiere da vino, che significa un bicchiere che contiene il 30% in meno di liquidi del bicchiere da acqua. È la stessa cosa di quando si dice “due dita di vino”: si intende in orizzontale, non verticale. Al di là degli scherzi, l’aumento delle dimensioni dei bicchieroni di bibite conta molto, perché ci induce a consumarne di più.
Quali disturbi può comportare il consumo eccessivo di bibite zuccherate?
Come detto, l’eccessiva presenza di zuccheri in queste bibite crea una tendenza a nutrirsi di alimenti dolci. E l’assunzione di zuccheri in eccesso significa più energia assunta che non viene dissipata e che quindi può portare all’aumento di peso. C’è da dire che non ci sono evidenze chiare su questo. Tra consumo di bevande zuccherate e obesità non c’è un rapporto di causa-effetto documentato, ma sicuramente c’è una correlazione. In ogni caso, vanno tenuti in considerazione anche altri fattori. Stile di vita in primis. Altri disturbi in cui si può incorrere, con il consumo eccessivo di zuccheri, sono certamente carie e problemi ai denti.
Le bibite light o senza zuccheri sono una soluzione?
La sottrazione degli zuccheri semplici alle bibite comuni è una metodologia molto diffusa. Ma anche queste bibite possono avere gli stessi effetti collaterali di quelle non light. È stato sperimentato sui topi che alla lunga il consumo esagerato di bevande light è comunque correlato con l’aumento di peso. Si è visto infatti, come documentato da The Lancet, che il sapore dolce di queste bibite crea nell’organismo dei topi l’aspettativa della assunzione di zuccheri. E, poiché questi zuccheri non arrivano, il nostro corpo cerca comunque di compensare con l’assunzione di calorie da altre fonti. Se, ad esempio, bevo un’aranciata light, è probabile che dopo mangerò del cioccolato. Si chiama effetto paradosso. Questo, però, è stato solo sperimentato sui topi. Degli uomini ancora si sa poco…
Quindi è giusto tassare i cibi dannosi alla nostra salute come le bibite zuccherate?
Credo che sia una misura giusta. Perché il basso costo del cibo spazzatura, soprattutto in un periodo di crisi come questo, porta a consumarne tanto e a preferirlo al cibo di qualità. È un intervento che è stato già fatto in altri Paesi in cui la popolazione è infatti mediamente più magra di noi. Ma la tassazione da sola non basta. A fianco a questo intervento, servono interventi per l’adozione di nuovi stili di vita alimentari. Per esempio, se tassi il junk food, devi però rendere gratuito il certificato medico per l’attività fisica non agonistica. In questo modo si facilita la pratica di attività sportive. Questo perché non è importante solo il conto delle calorie, ma alla base c’è una corretta educazione alimentare che eviti la tendenza, presente nella nostra popolazione, dell’aumento dei sovrappeso e degli obesi. Questo è un approccio di tipo multidisciplinare.
In questo senso, nell’acquisizione delle giuste abitudini alimentari c’è un coinvolgimento non solo del soggetto singolo ma anche del sociale.
Certo,è proprio in questa direzione che ho condotto uno studio, in collaborazione con Antonio Siani, convolgendo anche Comuni e scuole del territorio campano (dove esiste la maggiore percentuale di obesità infantile, ndr) per favorire la modifica dei comportamenti alimentari e degli stili di vita. Siamo in attesa di avere i risultati per poter documentare che peso abbia il contesto sociale nell’educazione alimentare dei bambini.