È dura scrivere qualcosa di originale su Matteo Renzi e il suo debutto da sfidante alle primarie del Pd. C’è tanto da leggere e alcuni aspetti meritano. Innanzitutto gli articoli del popolo della carta, degli inviati, degli esperti di politica. Quel che colpisce è che sono di fatto in fotocopia. Hanno scritto più o meno le stesse cose, hanno trattato il “giovane” alla stregua di un novellino cui va certamente riconosciuto coraggio (le prime righe praticamente sono uguali per tutti) ma che in fin dei conti della politica e delle asprezze della vita sa poco o nulla e che, inoltre, si contraddice non poco e sbarella al punto da sconfinare nel territorio “nemico”. Renzi è riuscito nell’intento di mettere d’accordo Repubblica con Libero e persino il Fatto quotidiano (l’unico non allineato, non a caso, è stato un non-politico, Massimo Gramellini su La Stampa).
Era anche il canovaccio più facile da scegliere. E lo stesso sindaco di Firenze, va riconosciuto, non ha fatto nulla per sottrarvisi. In fondo è tutto vero: la salsa veltroniana, il richiamo blairista, il distacco dalla sinistra ortodossa, la rottura generazionale, persino il richiamo agli elettori del Nemico. Un clichè del quale Renzi rischia, però, di rimanere prigioniero.
Perché c’è, a modesto avviso di chi scrive, un grave errore nell’impostazione della campagna elettorale di Renzi. Il rottamatore fiorentino si presenta come se fosse uomo nuovo, completamente a digiuno della politica. E invece non è così. Quello generazionale è un tema forte, di sicura presa in tempi di vibrante insofferenza anti-casta. Ma oltre ad avere 37 anni – che è un merito fino a un certo punto, nel senso che non l’ha deciso lui – Renzi è sindaco di una città non proprio irrilevante in Italia. Firenze è tra le dieci città più importanti d’Italia, forse anche tra le prime cinque.
Ecco, perché Renzi nella sua campagna elettorale non introduce anche la sua esperienza di amministratore? Le sue idee per Firenze, quel che ha realizzato, quel che ha progettato, quel che vorrebbe costruire. Perché il nuovismo è attrattivo, ma da solo non basta, non può bastare. Diciamo che è un ottimo strumento per rompere il ghiaccio, ma poi gli italiani – che proprio così stupidi non sono – preferiscono avere una persona consapevole a Palazzo Chigi, un politico che non sia proprio all’oscuro dei percorsi accidentati che quotidianamente lastricano l’attività di governo. Rottamare è figo, eccita, ma poi uno si domanda: e adesso che macchina compriamo? O passiamo il tempo a sfasciarle tutte?
Per carità, ora l’intento non è di smontare l’architrave del viaggio in Italia di Renzi a bordo del suo camper. Il fattore generazionale ha la sua efficacia. Del resto, basta vedere le facce della nomenclatura del Pd per farsi una piena e sonora risata. Renzi può farsi fotografare liberamente, Bersani deve stare attento a chi si piazza vicino. Come già sperimentato alla festa dell’Unità, i dirigenti del partito deve farli accomodare in platea, magari non in prima fila, altrimenti rischia di farsi male.
Anche le dotte analisi degli esperti politici sui giornali la dicono lunga. Qui se perde Bersani cambia tutto. Non solo per chi ambisce a poltrone di Governo o parlamentari, ma anche per chi esercita altri mestieri e si è messo in coda da un bel po’ di anni.
Quindi il fattore generazionale può rimanere come titolo principale, vetrina per attrarre i clienti. Ma affianco, ben visibile, dev’esserci un bancone su cui è scritto a chiare lettere che Matteo Renzi, nonostante i suoi 37 anni, non è nato ieri e da anni convive con delibere, consigli comunali, varianti urbanistiche. Dev’essere Firenze lo specchio in cui mirare la sua bellezza, non solo la gioventù o presunta tale.
E qui dissento dal pezzo scritto ieri da Peppino Caldarola. No, i “vecchi” non devono farsi da parte. Non è così che aiutano i cosiddetti giovani. I “vecchi” devono essere scalzati. Devono essere sconfitti sul campo, politicamente si intende. Gioca il centravanti migliore, non scalzi Inzaghi solo perché hai vent’anni. Devi dimostrare che sei più forte, che segni di più, che hai più fame di lui.
In questo, il passaggio sul Sessantotto («non siete la meglio gioventù come vi dipingete») è affascinante ma contiene in sé una menzogna. Quelli del Sessantotto il potere se lo sono conquistato, e ancora lo detengono. Ovviamente cooptano i finti giovani, ma questo è la loro grandezza. Ancora oggi in Italia comandano, anzi stracomandano loro. E nessuno ha fatto loro largo. Hanno buttato giù la porta e si sono presi il divano e il resto. Così si conquista il potere, il resto è roba buona per le favole.
È qui che Renzi si gioca la sua battaglia. Deve trovare il giusto mix. Ma non deve nascondere il suo lavoro, non deve vergognarsene, sarebbe da folli. È un sindaco, ha vinto due elezioni. Prima le primarie, poi le comunali. Deve portare Firenze e la sua esperienza di amministratore al centro del dibattito. Perché anche i 37enni hanno un lavoro e sono affermati. Magari in Italia non tutti lo sanno.