Fini cacciato dai funerali di Rauti. I camerati: «È quello che voleva»

Fini cacciato dai funerali di Rauti. I camerati: «È quello che voleva»

Gianfranco Fini arriva alla basilica di San Marco Evangelista verso l’una. Dentro, il funerale dell’ex segretario del Movimento sociale Pino Rauti è appena iniziato. La chiesa è strapiena. Tante persone – almeno un centinaio – sono costrette a rimanere all’esterno. Ed è proprio nella piccola piazza di fianco a Palazzo Venezia, ai piedi del Campidoglio, che inizia la contestazione. Come il presidente della Camera si avvicina all’ingresso viene ricoperto di insulti. Il popolo della destra, accorso in massa per l’ultimo saluto a Rauti, non lo ha perdonato. «Venduto», «traditore». Alcune offese sono ben più volgari e infamanti.

Tra la folla che si accalca davanti alla chiesa la più arrabbiata sembra una signora. Avrà cinquant’anni, i capelli tinti di un improbabile color biondo. Per un attimo i ricordi tornano agli anni Settanta. «Avete visto che faccia bianca? Era terrorizzato. Lui è quello che quando ci difendevamo nelle sezioni si chiudeva dentro i bagni». Tanti gli insulti. Oltre alle grida, c’è chi tenta di passare alle vie di fatto. Alcuni tentano di impedire l’ingresso a Fini. Qualcuno assicura che l’ex delfino di Giorgio Almirante è stato colpito da alcune ombrellate. Gianfranco Fini, scortato, riesce a entrare nella basilica. Si accomoda ai primi banchi. Dentro qualcuno continua a mormorare. «L’aria era così tesa – ricorda il deputato Pdl Carlo Ciccioli, seduto lì vicino – che si tagliava con un coltello». Tra le navate rimbombano ancora le grida e gli insulti che arrivano dall’esterno. Per riportare la calma deve intervenire Isabella, figlia del dirigente missino scomparso. «Abbiate rispetto per mio padre e per la mia famiglia. Avete avuto altri momenti per questa contestazione» Non è abbastanza. Pochi minuti più tardi Fini deve lasciare la chiesa da un’uscita secondaria, sempre scortato.

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Il popolo della destra si raduna per l’ultimo saluto a Pino Rauti. Roma si congeda con centinaia di manifesti. Sono apparsi ieri sera sui muri della città. Pino Rauti, “Andare Oltre”. Nessuna firma. Una foto in bianco e nero del fondatore di Ordine Nuovo. E uno slogan che racconta meglio di tanti articoli la particolare vicenda politica dell’ex segretario missino. All’ultimo commiato si presentano in tanti. Ci sono leader politici e parlamentari. Esponenti di gruppi di estrema destra. Ma anche tanti militanti. È la base orfana del Movimento sociale. Anziani, e tanti giovani. Quando la bara ricoperta dal Tricolore entra in chiesa si alzano i primi saluti romani. Un paio di ragazzi hanno sfidato la pioggia che in mattinata ha bagnato la Capitale, indossando una camicia nera. Qualche bandiera italiana, due del Movimento sociale Fiamma Tricolore, tra le ultime esperienze politiche di Rauti.

Il feretro passa tra una selva di braccia tese e di telecamere. Un ragazzo scoppia in lacrime. Avrà trent’anni, corporatura massiccia, indossa una tuta. «Leben ist Kampf», la vita è battaglia, ricorda la maglietta di un altro tra i presenti. Sfilano i parlamentari che hanno condiviso un pezzo di vita politica con Rauti. C’è il senatore Giuseppe Ciarrapico, che ad Alleanza Nazionale non ha mai aderito. Tanti esponenti del Pdl, da Ignazio La Russa all’ex ministro Giorgia Meloni. E qualche finiano di Futuro e Libertà. Flavia Perina, legatissima al vecchio segretario. Aldo Di Biagio, Claudio Babaro. «Io me so fatto carcerà e questi prendono i soldi nostri», commenta amaramente un anziano signore fuori dalla chiesa.

La cerimonia è solenne. «Siamo tutti fratelli – ricorda in un passaggio il celebrante per stemperare le tensione – Anche coloro che la pensano diversamente da noi». All’esterno della basilica spunta un’improvvisata rivendita di gadget nostalgici. Fasci littori, magliette del Duce. Il commosso ricordo di Pino Rauti spetta a Gennaro Malgieri, ex direttore del Secolo. Dopo di lui interviene il nipote Manfredi, figlio del sindaco Gianni Alemanno. Legge un passo dei Canti Pisani di Ezra Pound. Per ultima la figlia Isabella. Il suo è un ricordo privato, familiare. A un certo punto, forse infastidita dalle polemiche che hanno accompagnato la scelta di allestire la camera ardente di Rauti nei locali della Fondazione Alleanza Nazionale, spiega: «Quella era prima di tutto la sede del Movimento Sociale». Quando il feretro lascia la chiesa, tra le navate si alza la preghiera del legionario. «Iddio che accendi ogni fiamma e spegni ogni cuore, rinnova ogni giorno la passione mia per l’Italia. Rendimi sempre più degno dei nostri morti, affinché loro stessi, i più forti, rispondano ai vivi: Presente».

«Camerata Pino Rauti». “Presente!” si alza per tre volte il grido sulla piazza. Alcuni canti segnano la rabbia di una generazione perduta. «Contro il sistema, la gioventù si scaglia. Boia chi molla è il grido di battaglia». Altri sono il nostalgico ricordo di un’epoca trascorsa. È il caso del vecchio inno del Fronte della Gioventù, “Il domani appartiene a noi”. La deputata Pdl Paola Frassinetti canta a squarciagola. Quando la bara lascia Piazza Venezia, sul sagrato proseguono le polemiche per la presenza di Gianfranco Fini. Il segretario de La Destra Francesco Storace ha lasciato la chiesa poco dopo l’ingresso del presidente della Camera. «Ho appreso da funzionari del cerimoniale capitolino che la presenza di Fini non era prevista – spiega – se ha deciso solo all’ultimo momento di partecipare ai funerali di Rauti, ha sbagliato e di grosso. Su di lui si è scatenato il rancore di persone e comunità diverse che si ritrovavano nel lutto per un capo che se ne va in un mondo sempre più disperso e principalmente a causa sua».

Fini non sarebbe dovuto venire? Molti la pensano così. «Bastava la sua presenza a via della Scrofa». Qualcuno sembra aver già interpretato le reali intenzioni dell’ex leader di An. «Sapeva che sarebbe stato contestato. Se è venuto è stato proprio per marcare ancora di più la distanza da questa gente. Gli servirà per ottenere qualche nuovo incarico, magari internazionale».