La prova della piazza è andata: 6mila persone per gli organizzatori, la metà per questura, ancora meno per gli antifascisti. I numeri della manifestazione romana di CasaPound dello scorso 24 novembre sono questi, ma l’importante era far parlare di sé, obiettivo centrato al cento per cento. Ora, però, Casapound punta al salto di qualità: la sfida delle urne, a partire dal Comune di Roma e dalla Regione Lazio. Per il resto c’è tempo. Poi, come ribadiscono in via Napoleone III, «non puntiamo al risultato, ma vogliamo far passare il nostro messaggio». Insomma, loro sono lì, agguerriti, e puntano a fare da outsider nella tornata elettorale più incerta dell’ultimo ventennio.
Il momento tanto atteso sin dalla nascita: distanza assoluta da Forza Nuova e dal neofascismo «vecchio stampo» pieno di teste rasate, bomber neri e nostalgie della croce di ferro. Spazio ai temi sociali, al fascismo della prima ora e alle battaglie contro «i vampiri di Equitalia» o «gli usurai delle banche»: basta dibattiti sulla purezza della razza, qui si punta a intercettare i problemi che la «gente comune» deve affrontare tutti i giorni. Un discorso che potrebbe pagare. Quando Beppe Grillo dice «ci siamo noi, poi ci sono i neofascisti», parla proprio di Casapound e passare dallo «zero virgola poco percento» a una fetta di seggi in Parlamento è qualcosa che non dovrebbe sorprendere: basta guardare Alba Dorata in Grecia, capace di decuplicare i consensi nel giro di un paio d’anni, oppure lo stesso Movimento Cinque Stelle, da valvola di sfogo per pochi intimi a secondo partito italiano.
«Falli piangere tutti». «Sei stato fin troppo moderato». «Tifa rivolta». «L’unico voto utile». «Centrodesta, centrosinistra. Oppure no». Le bacheche di Facebook sono piene di messaggi del genere, flash che solleticano il sempre crescente sentimento anticasta nella pancia – prima che nel cervello – degli italiani. È la propaganda versione 2.0, il tentativo di creare suspance, alimentare la rabbia: «Il problema non è il Fiorito in sé, ma il Fiorito in te. Smetti di dare ostriche morali al tuo parassita interiore». Il tutto prima di svelare le carte.
Già perché, almeno ufficialmente, Casapound ancora non ha detto nulla sui volti che proporrà nelle sue annunciate liste elettorali. La certezza è una sola: Alberto Palladino al Municipio V di Roma. Per il resto, tutto tace, anche se le voci si rincorrono e oltre a Fidel Mbanga Bauna – mezzobusto del TG3 Lazio, principale «indiziato» da quasi un anno per la candidatura a sindaco della Capitale –, nel quartier generale dell’Esquilino c’è chi spinge per una pista tutta interna, con la campagna elettorale affidata ai nomi più in vista del movimento: il leader Gianluca Iannone su tutti. Subito dietro, il suo braccio destro Simone Di Stefano, il responsabile culturale Adriano Scianca, la sindacalista Maria Bambina Crognale e il vicepresidente Andrea Antonini.
Le prospettive però sono piuttosto incerte e sparare subito in pasto agli elettori i nomi più pesanti potrebbe rivelarsi un gioco al massacro che decreterebbe la morte prematura di CasaPound. Meglio un «papa straniero» allora, ed è qui che la candidatura di Mbanga Bauna riprende quota. Un volto conosciuto a Roma – il giornalista è noto alle cronache anche per essere stato il primo candidato di colore per Montecitorio, tra le file di An, nel 2003 – che permetterebbe al movimento di esporsi ma non troppo, evitando di andare a sbattere con un risultato che potrebbe essere mortificante. D’altra parte, i sondaggi elettorali non prendono nemmeno in considerazione un risultato di Casapound, confinata al due per cento secco alla voce «Altri», da spartire tra liste e listarelle estemporanee destinate a sparire in un pomeriggio.
Sullo sfondo si muovono altre forze, a partire da Marcello Veneziani e dal suo appello «Ritornare a Itaca», lanciato quest’estate dalle campagne intorno ad Ascoli Piceno. L’obiettivo è togliere di mezzo Iannone e prendere i «pochi liberi combattenti» di CasaPound («Un fenomeno da studiare», per ammissione dello stesso Veneziani). Ad ogni modo, per il momento, i fascisti del terzo millennio rispediscono indietro ogni invito, con Scianca che non ha resistito a replicare con sarcasmo: «Altro che Itaca, qua è pieno di proci…». Ma dietro il veleno, il dialogo è avviato e in caso di naufragio elettorale, il patrimonio movimentista accumulato da Casapound negli anni sarà terreno di battaglia.
«Non faremo la figura di Forza Nuova» è il tormentone che i militanti ripetono come un mantra. Un modo per esorcizzare l’incubo di uno 0.5 percento che non ammetterebbe repliche. All’Esquilino però si pensa in grande: almeno nelle intenzioni, l’elettorato di riferimento, non è quello tradizionale della galassia neofascista, ma tutta la destra più o meno estrema che, dopo averci creduto, vuole abbandonare Alemanno, Storace e la Polverini. «Padri di famiglia, professionisti, indignati e disillusi», gente che ha bisogno di «tornare a credere» e «ricominciare a lottare» contro «tecnocrati, banchieri, tecnici e usurai», artefici di «un declino che pare inarrestabile, ma che non è il nostro destino».
Tutto il resto, per loro, è noia. Le azioni squadriste in giro per l’Italia? «Fino al terzo grado di giudizio si è tutti innocenti». La nostalgia del Ventennio? «Guardiamo avanti, senza dimenticare da dove veniamo». Mussolini? «Un punto di riferimento. Non solo una dittatura, ma anche un governo». Il migliore della storia d’Italia? «E chi sennò? Andreotti, Craxi? O forse Berlusconi…».
Il video di Servizio Pubblico del 13 dicembre.