Sono giorni cruciali per Cipro: il parlamento dell’isola è in riunione permanente per decidere come racimolare in casa quei 5,8 miliardi di euro, richiesti dalla troika (Fmi, Bce e Commissione Europa) come condizione perché sia prestato un aiuto esterno di dieci miliardi. Nel frattempo, sembra siano falliti i negoziati di Nicosia con Mosca per ottenere sostegno finanziario dalla Russia, considerata l’esposizione degli investitori del paese nel sistema bancario cipriota.
Dalla Germania si protesta perché i 750.000 ciprioti non avrebbero accettato il piano di salvataggio proposto fin dai primi tempi, che prevedeva principalmente un prelievo forzoso sui conti correnti, ad aumentare in base all’entità del deposito. Si tentava così di costringere alla tassazione anche i titolari stranieri di conti correnti – principalmente russi – che impiegano la politica fin troppo lasca di Cipro nei confronti della trasparenza bancaria. Come ha dichiarato al New York Times un partner di un importante studio legale newyorkese, «qualsiasi oligarca russo che voglia proteggere i propri asset cerca di assicurarsi che siano portati fuori dalla Russia», e Cipro sarebbe adattissima all’uopo.
Riporta la stessa testata che circa il 25% degli investimenti russi verso l’estero passa per Cipro: l’isola offriva possibilità di salvacondotto fiscale, con le “garanzie” dell’appartenenza all’euro. L’economia è piccola: si tratta di un totale di 25 miliardi di euro. Nonostante questo, tra il 2007 e il 2011 “soggetti finanziari ciprioti” hanno “prestato” alla Russia 40 miliardi di euro l’anno. Secondo un report dell’intelligence tedesca, si troverebbero sull’isola qualcosa come 40.000 aziende fantasma, con capitali di origine sconosciuta, “probabilmente frutto di lavaggio di denaro o ruberie”.
Ma come spiegare il dietrofront di Mosca a fronte di un’esposizione così significativa? Il primo nodo riguarda l’aspetto prettamente domestico della faccenda cipriota in Russia. A fronte delle richieste di aiuto, il ministro delle Finanze cipriota Michalis Sarris ha ottenuto dal Cremlino un commento sibillino: «interverremo solo in terza battuta», se Cipro e l’Europa non fanno nulla. Il fatto è che i depositi russi a Cipro sono qualcosa di scomodo per il governo di Mosca. L’impossibilità di tracciare e controllare i flussi finanziari esteri rappresenta un indebolimento per il vertice politico, per cui salvare i depositi offshore degli oligarchi in fuga verso l’estero non è esattamente una priorità del presidente Vladimir Putin – tanto che a parlare con Cipro ha messo il primo ministro Dmitrij Medvedev.
Cipro lo sa bene: è per questo che nelle negoziazioni ha provato a offrire a Mosca dell’altro. Cipro ha proposto ai russi la vendita di diritti estrattivi sulle enormi riserve di gas off-shore (marine) scoperte negli ultimi anni, tra cui il bacino di “Aphrodite”. Nel 2010 l’isola ha concluso un accordo sulla delimitazione dei confini marittimi con Israele, che a questo punto può sfruttare altri due bacini – “Leviathan” e “Tamar” – i quali renderebbero il paese ebraico energeticamente autonomo. Cipro e Israele, anche per ragioni di contiguità delle strutture geologiche, potrebbero appoggiarsi ad aziende russe per lo sviluppo dei giacimenti.
Il fattore moscovita non è secondario per i due paesi mediterranei: una Russia coinvolta nel gas potrebbe servire ai fini d’Israele per far pressione contro il Libano, che non accetta la partizione dei confini marittimi con Israele stessa – e cercherebbe così di ottenere partecipazioni in Leviathan e Tamar. Dal punto di vista russo, c’è poi l’aspetto importante della presenza navale nel Mediterraneo: il porto di Tartus, in Siria, potrebbe essere abbandonato in caso di capitolazione di Assad a Damasco, e avere una possibilità di appoggio a Cipro sarebbe utile. Il problema è che sembra tutto fantascienza: che Cipro possa ospitare navi russe è da escludere. Che sia lasciato poi a Gazprom (o chi per lei) il diritto di acquistare ed estrarre risorse energetiche in Europa è forse ancora meno probabile. Si svela qui la chiave della negoziazione: si è trattato di un ballon d’essai. I ciprioti hanno voluto testare le reazioni europee davanti a un flirt di Nicosia con Mosca. È una delle regole base delle negoziazioni: fare vedere di avere un’alternativa. Il problema è che non sembra ci abbiano creduto in molti: è difficile fare il gioco delle tre carte con i russi (in genere sono loro che lo fanno), e men che meno è difficile battere Angela Merkel con lo stesso sistema. Il rigore è ancora una priorità da parte dell’Europa continentale.
E la vicenda diventa ancora più complessa se si considera la posizione turca. La parte nord di Cipro, occupata da Ankara, ha pretese sui campi di gas rivendicati da Cipro greca. D’altra parte – come abbiamo visto – per l’assegnazione dei diritti estrattivi, Cipro greca sta facendo coppia con Israele. Nel corso dell’ultimo giorno di visita in Israele, il 22 marzo il presidente americano Barack Obama ha negoziato l’inizio di una riconciliazione tra Gerusalemme ed Ankara sul caso Flotilla, convincendo il premier israeliano Benjamin Netanyahu a “scusarsi” con il premier turco Recep Tayyip Erdogan. Se adesso si riuscisse a chiudere un “triangolo” tra Ankara e Nicosia, il quadro geopolitico sarebbe completo: nel medio termine, a salvare Cipro non sarebbero Europa o Russia, ma la Turchia e Israele. E Bruxelles perderebbe comunque.