“Imprenditori, troppo facile dare la colpa alle banche”

FORUM Il credit crunch/Antonio Belloni

Antonio Belloni, laureato in Scienze internazionali a Milano, da oltre dieci anni si occupa di export, dentro e fuori le Pmi, tra capannoni e ricerca: Ha recentemente pubblicato Esportare l’Italia. Virtù o necessità? (Guerini e associati)

Dal vostro osservatorio qual è, oggi, in tempi di grande recessione, il rapporto tra banche e imprese?
È un rapporto sempre più difficile ma sempre più necessario, quindi da ricostruire, perché entrambe i soggetti vivono davvero un brutto momento. Da una parte c’è l’impresa, con un bilancio negativo: tra tasse e costo del lavoro non può sperare nell’utile, ma la contingenza più drammatica la stringe tra ricavi in ribasso, schiacciati da un mercato interno asfittico, e una posizione finanziaria critica, che alla voce debiti la mette in una brutta posizione rispetto alla banca: fa fatica ad ottenere finanziamenti futuri di medio/lungo periodo, ed anzi si vede costretta a rinegoziare o addirittura saldare quelli pregressi. Ma sarebbe troppo semplice dare la colpa alle banche, che a loro volta hanno sulle spalle, numeri di questi giorni, una gran massa di crediti che o verranno recuperati più in la nel tempo o addirittura mai più assolti, e peseranno sui bilanci.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Fabio Bolognini, Giorgio Merletti

Esiste davvero un credit crunch e quali sono gli effetti?
Il credit crunch è una realtà. Si è manifestato attraverso il rifiuto dell’erogazione dei fidi, del rinnovo, la riduzione dei fidi stessi, l’aumento della richiesta di garanzie personali a fronte della richiesta fidi, e l’aumento dei tassi di interesse applicati.
Inutile dire che negli ultimi tre anni i comandamenti per la maggior parte dei funzionari di filiale sono stati solo due: far rientrare e chiudere il rubinetto. Purtroppo però ci sono molti casi di imprese che non hanno alcun problema finanziario, anzi hanno molta liquidità, ed hanno le banche alla porta, pronte a concedere affidamenti generosi…ma ormai il “prestare l’ombrello quando c’è il sole” è una perifrasi che ha marchiato a fuoco le banche di oggi.
In generale tutta la “finanza privata”, dalle banche al private equity, passando per la Borsa, si è disidratata sotto l’arsura della crisi. Sono nati invece fondi di investimento legati alla finanza pubblica di diverse tipologie, che vanno da quelli di piccole dimensioni, emersi negli ultimi tre anni, in capo a soggetti locali, fino a quelli di taglia maggiore come FII (Fondo Italiano). Sono ottimi progetti, ma di realtà che iniettano capitale di rischio dentro a imprese che vogliono crescere e sono ben messe, non in crisi. Per queste si è vista solo la moratoria sul debito e qualche fondo di garanzia.
Per il finanziamento vero, quello a medio lungo termine, le strade alternative alla banca, da cui le nostre imprese sono ancora dipendenti, sono ancora senza una meta e all’orizzonte si vedono solo il crowdfunding e qualche piccola idea sui mini-bond. Si devono trovare altre idee. O vogliamo ritornare al passato, senza Borsa, senza rating, senza derivati?
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Fabio Bolognini, Giorgio Merletti

I crediti dubbi sono in crescita del 17,5% anno su anno (dati Bankitalia), e non c’è traccia di ripresa fino alla seconda metà dell’anno. Come cambia il business delle banche quando le imprese sono in difficoltà?
Di fronte al forte indebolimento delle attività produttive delle imprese ed alla maggiore ristrettezza dell’erogazione il business del finanziamento è cambiato nelle modalità oltre che nei numeri: condizioni più severe e rifiuto al rinnovo o all’aumento delle linee di credito concesse, quindi meno soldi prestati e meno interessi attivi, che dovrebbero essere la prima voce di entrate per la banca.
Quindi i ricavi sono “integrati” con il margine da servizi, una meta molto meno impervia da raggiungere che il margine di interessi. Oggi abbiamo infatti le “banche supermercato”, sui cui scaffali troviamo una vastissima gamma di altri business diretti o collaterali che costituiscono fonti alternative di ricavo: le commissioni su incassi, pagamenti, intermediazione e gestione, l’emissione di titoli, la compravendita di azioni, il credito al consumo, i conti deposito, l’assicurazione, la consulenza corporate, e tutto ciò che oggi è consentito. Quelli più in crescita sono legati alle maggiori attività di servizio richieste dalle imprese, come ad esempio il credito all’export o anche tutta la gamma di servizi ad esso dedicati, rivolti al numero sempre maggiore di aziende esportatrici.
I servizi rendono, invece fare credito costa ed è rischioso: probabilmente, se fosse per le banche, avrebbero già smesso col business dei finanziamenti e farebbero solo questi altri servizi e chissà mai che con la separazione delle attività (discussa in questi giorni in Francia nell’Assemblée nationale), a fare credito, domani non resti davvero più nessuno.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Fabio Bolognini, Giorgio Merletti

Quanto peseranno le nuove regole di Bankitalia sul “pronto realizzo” sugli accantonamenti?
Peseranno prima di tutto sulle banche e sui loro bilanci, costrette ad accantonare di più, e sulle imprese, che vedranno restringersi ancora di più le possibilità di finanziamento. Siamo ad un passaggio epocale per tutto il sistema del credito. La banca è il soggetto che incarna di più le contraddizioni dell’economia di oggi: il suo lavoro è prestare i soldi e attendere, sperando che tornino indietro; quindi scommettere sul futuro successo di un business altrui. Purtroppo i mercati finanziari, la Borsa, danno giudizi giornalieri, mensili, trimestrali, semestrali, su business che porteranno risultati solo nel medio periodo ed è questa discrasia temporale tra breve e medio/lungo periodo il veleno nella coda del sistema finanziario attuale, e la banca sta piantata nel mezzo: scadenze a lungo contro risultati a breve.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Fabio Bolognini, Giorgio Merletti

Ci sono imprese a cui le banche prestano più volentieri? E le altre? È vero che dentro le banche si sta facendo questa selezione?
Anni fa la discrezionalità del funzionario era il primo centro di responsabilità dell’istituto. Era il depositario della scelta definitiva del merito del credito. Dopo le grandi fusioni le economie di scala interne alle banche hanno imposto regole “meccaniche” e burocratiche: si compila il modulo per la richiesta fido nella filiale di Busto Arsizio e la valutazione magari viene effettuata nella sede centrale di Milano, dove nessuno conosce l’affidato Brambilla. Pensavamo la discrezionalità fosse sparita, ma c’è ancora, ed oggi la troviamo sia nella scelta di una richiesta rinegoziazione, sia in quella dell’attribuzione della qualità di un credito, deteriorato o esigibile. Sono invece cambiati i parametri, i ratio, sulla cui base effettuare queste scelte ma, come prima, resta sempre e comunque più facile “prestare” a chi non mostra segni di crisi. Prestare a chi è debole è una scommessa molto rischiosa per rappresentare un business certo, infatti oggi tutta la manifattura ha visto calare i prestiti bancari, mentre un’attività più sicura e quasi moniopolistica, come l’energia elettrica e il gas no.
La banca deve ora tornare a fare ciò che faceva bene in passato, quando svolgeva un ruolo fondamentale per le imprese con l’esercizio costante di valutazione oggettiva del merito del credito: dava un giudizio sul valore e la profittabilità del business che nessuna agenzia di rating poteva e potrà dare.
Oggi invece si parla di ottenere la “bancabilità”, appellativo da cui traspare come obiettivo dell’impresa quello di ottenere il finanziamento, non realizzare un ciclo produttivo efficiente ed efficace. Oggi si parla spesso di asset intangibili, dove creatività, brand, qualità, servizio, affidabilità personale dell’imprenditore non vanno a bilancio, ma non ci ricordiamo che anni fa, quando il merito del credito veniva valutato dal ragioniere della filiale di provincia, tutto questo aveva un valore.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Fabio Bolognini, Giorgio Merletti

L’obbligo di pagamento della Pa a 30 giorni ha reso più “bancabili” le imprese che lavorano con il pubblico?
Da una parte la norma è troppo giovane per fare valutazioni, e dall’altra il pubblico comunque spenderà sempre mano. In teoria, le imprese i cui ricavi dipendono per una parte molto ampia da commesse pubbliche dovrebbero, da domani, avere una posizione finanziaria netta migliore, e quindi una minor necessità di ricorrere a prestiti bancari.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Fabio Bolognini, Giorgio Merletti

Perché nonostante i proclami del governo Monti gli scaduti di pagamento continuano a non essere saldati? quali sono i nodi da sciogliere?
Partiamo dal presupposto che a nessuno piace pagare, soprattutto in tempi di crisi, e quindi tutti gli ultimi governi, compreso l’attuale, hanno avuto come priorità il pagare meno, poco e tardi.
Se da oggi i pagamenti saranno a 30 giorni, un netto cambio di passo rispetto al passato, possiamo considerare i 70 o 90 miliardi di scaduti come “esodati”, cioè un pacchetto restato in mezzo, tra la modalità di pagamento precedente e quella attuale. Non credo siano una cifra che possa davvero rivitalizzare l’economia ma, con dietro la Cassa depositi e Prestiti, si possono saldare, soprattutto per far passare il messaggio che lo Stato mantiene le promesse.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Fabio Bolognini, Giorgio Merletti

GLI INTERVENTI DEL FORUM:

Luca Barni, direttore del Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate

Antonio Belloni, autore di Esportare l’Italia

Fabio Bolognini, Amministratore Delegato di Linker Srl

Giorgio Merletti è presidente nazionale di Confartigianato Imprese

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