TRE INCIPIT
Lamento di Portnoy (1969)
«Mi era così profondamente radicata nella coscienza, che penso di aver creduto per tutto il primo anno scolastico che ognuna delle mie insegnanti fosse mia madre travestita. Come suonava la campanella dell’ultima ora, mi precipitavo fuori di corsa chiedendomi se ce l’avrei fatta ad arrivare a casa prima che riuscisse a trasformarsi di nuovo. Al mio arrivo lei era già regolarmente in cucina, intenta a prepararmi latte e biscotti. Invece di spingermi a lasciar perdere le mie fantasie, il fenomeno non faceva che aumentare il mio rispetto per i suoi poteri. Ed era sempre un sollievo non averla sorpresa nell’atto dell’incarnazione, anche se non smettevo mai di provarci; sapevo che mio padre e mia sorella ignoravano la vera natura di mia madre, e il peso del tradimento, che immaginavo avrei dovuto affrontare se l’avessi colta sul fatto, era più di quanto intendessi sopportare all’età di cinque anni. Credo addirittura di aver temuto che, qualora l’avessi vista rientrare in volo da scuola attraverso la finestra della camera o materializzarsi nel grembiule, membro dopo membro, da uno stato d’invisibilità, avrei dovuto per questo morire».
Pastorale americana (1997)
«Lo Svedese. Negli anni della guerra, quando ero ancora alle elementari, questo era un nome magico nel nostro quartiere di Newark, anche per gli adulti della generazione successiva a quella del vecchio ghetto cittadino di Prince Street che non erano ancora così perfettamente americanizzati da restare a bocca aperta davanti alla bravura di un atleta del liceo. Era magico il nome, come l’eccezionalità del viso. Dei pochi studenti ebrei di pelle chiara presenti nel nostro liceo pubblico prevalentemente ebraico, nessuno aveva nulla che somigliasse anche lontanamente alla mascella quadrata e all’inespressiva maschera vichinga di questo biondino dagli occhi celesti spuntato nella nostra tribù con il nome di Seymour Irving Levov».
Ho sposato un comunista (1998)
«Il fratello maggiore di Ira Ringold, Murray, fu il mio primo insegnante di inglese al liceo, e se legai con Ira fu grazie a lui. Nel 1946 Murray si era appena congedato dall’esercito, dove aveva prestato servizio nella Diciassettesima divisione aerotrasportata durante la battaglia delle Ardenne; nel marzo del 1945 aveva partecipato al famoso “salto del Reno” che segnò il principio della fine della guerra in Europa. Era, a quei tempi, un tipo calvo esuberante e duro, non alto come Ira, ma atletico e asciutto, sempre proteso sopra le nostre teste in uno stato di perenne vigilanza. Negli atteggiamenti e nelle pose era assolutamente naturale, ma nel parlare piuttosto prolisso e, sul piano intellettuale quasi minaccioso. La sua passione era spiegare, chiarire, farci comprendere, col risultato che ogni argomento di cui parlavamo veniva smontato nei suoi elementi principali con una meticolosità non inferiore a quella con cui divideva le frasi alla lavagna».
TRE ARTICOLI
HAPPY BIRTHDAY: Philip Roth Turns Eighty
di ADAM GOPNIK
da THE NEW YORKER
Philip Roth, the splendid, New Jersey-born, ostensibly retired American novelist, will be eighty next week, and his home town of Newark is turning out to celebrate. Or, at least, there will be literary presentations, a bus tour of Roth-honored locations (although the site of the burlesque house where the young Alexander Portnoy sat in panicky awe alongside his graying, grim-faced companions seems, for some reason, not to be on the itinerary), an “invitation only” party at the Newark Museum, and a show of Roth-related photographs at the Newark Public Library. Leggi tutto
Philip Roth’s Legacy at 80
di ADAM CHANDLER
da TABLET
Philip Roth will celebrate his 80th birthday, a milestone that has already launched a thousand tributes to the most decorated and well-regarded living American writer. From high and low, they’ve appeared in print, digital, tourism initiatives and now, most notably, film. (For an academic flourish, Tablet’s own Liel Leibovitz and Adam Kirsch will be anchoring a Roth panel tonight.) Leggi tutto
Philip Roth at 80: the novelist of desire
di SAMEER RAHIM
da THE TELEGRAPH
«“In the coming years I have two great calamities to face: death and a biography,” says a poker-faced Philip Roth. “Let’s hope the first comes first.” He is speaking at the start of a new PBS film, Philip Roth Unmasked, based on extensive interviews with the author, and made to coincide with his 80th birthday. You can understand him wanting to guard his own story. His work over the last 50 years – from Goodbye, Columbus (1959) to what he claims is his final work, Nemesis (2010) – has mined his own Jewish upbringing in Newark, testing and teasing the reader to guess what is fact and what is fiction». Leggi tutto