Nuova condanna, dopo 18 anni di processi, per 7 anni di reclusione, a Marcello Dell’Utri, per il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”. Sulle agenzie e su Twitter, dalla serata di ieri, hanno gioito la figlia del giornalista Alfano, ucciso dalla mafia, Sofia, europarlamentare Idv e, ovviamente, i tanti nemici di don Marcello e del Cavaliere.
Quasi nessuno, tuttavia, ha sottolineato che soltanto un anno fa la Cassazione aveva annullato una precedente condanna, sempre a 7 anni di prigione, chiesta e ottenuta per Dell’Utri da Ingroia dalla Corte d’ Appello del capoluogo siciliano. E il procuratore generale, dottor Francesco Iacoviello, una delle toghe più stimate del Palazzo romano di piazza Cavour, era stato molto severo con quel verdetto, sostenendo che, nelle motivazioni, era stato indicato il presunto colpevole, ma non era stato individuato e motivato, con chiarezza, il reato. E, soprattutto, non erano stati indicate specifiche condotte delittuose.
Iacoviello aveva spiegato che l’imputazione appariva come un “fiore artificiale in un vaso senz’acqua”. Ormai, del resto, il “concorso esterno” è considerato non solo da Iacoviello, ma dalla maggioranza dei giuristi come uno strumento creato per dare discrezionalità e potere alla magistratura più politicizzata. E l’inchiesta Dell’Utri fu avviata, nel lontano 1995, da Gian Carlo Caselli, allora Capo della Procura di Palermo, che aveva avviato diversi processi a carico, tra gli altri, di Calogero Mannino, assolto dopo un lunghissimo e kafkiano calvario.
Ancora una volta, insomma, una sentenza, che farà discutere. E che non può non sollecitare un interrogativo: è credibile una magistratura che, sulla stessa vicenda, emette sentenze opposte, nel giro di 12 mesi? E com’è possibile che i togati siciliani non abbiano fatto, dopo le “bacchettate” della Cassazione, nemmeno un passetto indietro, infliggendo all’ex senatore del Pdl la stessa pena, 7 anni, che la Suprema Corte, nel marzo 2012, aveva ritenuto talmente inappropriata e così poco motivata, da disporre un nuovo processo, quello che si è concluso nella serata di lunedì?
Adesso, il fascicolo, con la seconda sentenza d’Appello, tornerà in Cassazione, per una nuova valutazione. Nel novembre del 2014, scatterà la prescrizione. Se la Corte nelle motivazioni confermerà la tesi della precedente sentenza, il concorso esterno di Dell’Utri, nei confronti dei boss di Palermo – alcuni dei quali deceduti, come Tanino Cinà e Vittorio Mangano, il discusso “stalliere di Arcore”- si sarebbe interrotto nel 1992. Di conseguenza, la “morte giudiziaria” del processone verrebbe celebrata 22 anni e 6 mesi dopo, appunto nel novembre dell’anno prossimo. L’ex manager di
Publitalia spera di farcela. Ma come ne uscirà la fiducia non solo e non tanto dell’imputato, ma di tutti i cittadini nella “giustizia giusta”?
*Commentatore, ex giornalista Rai