Una legge malfatta condanna Zingaretti a un nuovo voto?

Si attende il parere del Tar

Che probabilmente si debba tornare al voto in tempi brevi è l’analisi di molti dei commentatori politici italiani. Guardano al confuso scenario nazionale e alle condizioni di ingovernabilità apparente in cui versa il Parlamento. 

Ma c’è il pericolo che si torni a votare anche nel Lazio, e circola anche una possibile data: il 26 e 27 maggio, in concomitanza con la tornata amministrativa che vedrà il rinnovo dell’amministrazione Capitolina. Uno scenario improbabile, ma non da escludersi. L’elezione di Nicola Zingaretti è infatti sub-judice. Sulla sua testa pende la spada di Damocle di un’udienza del Tar fissata al 7 marzo, che dovrà decidere sulla legittimità del Consiglio regionale, che lo vede godere di una maggioranza di 28 seggi su 50.

È proprio sul numero dei consiglieri che si è concentrata l’attenzione dei giudici amministrativi.

Ma andiamo con ordine. Uno degli ultimi provvedimenti del governo di Mario Monti ha imposto alle Regioni un sensibile taglio dei costi della politica. In particolare l’esecutivo tecnico ha fissato dei parametri, legati alla popolazione, per definire la composizione delle assemblee locali. Calcoli che hanno fatto scendere a 50 gli eleggibili nel Lazio, rispetto ai 70 del passato.

I parlamentini regionali avrebbero dovuto così modificare il proprio ordinamento adeguandosi alla normativa del governo, attraverso una modifica legislativa delle proprie norme. Passo che, negli ultimi giorni della convulsa giunta di Renata Polverini, non è stato fatto. Così la presidente ha emanato un decreto che recepisse su questo punto la spending review di Monti, ma non ha modificato né la legge elettorale, né lo Statuto della Regione. I quali, tutt’ora, prevedono un consiglio con 70 membri.

Il Tar non ha dunque potuto fare a meno di ricevere il ricorso presentato da Radicali italiani, e fissare per martedì 7 aprile la prima udienza pubblica, definendo «le censure proposte dai ricorrenti […] meritevoli di attenta considerazione», rilevando un eventuale profilo di incostituzionalità nel decreto di Polverini.

E nel pronunciamento che rinvia il ricorso a sentenza, il Tar esplicita che «non si ravvisano soluzioni “cautelari” tali da prevenire con sufficiente certezza l’eventualità di una ripetizione della tornata elettorale in relazione all’esito della controversia nella fase di merito». Vale a dire che qualunque decisione il tribunale amministrativo avesse preso prima del voto in un senso o nell’altro (il ricorso è datato ai primi di gennaio) il rischio di dover tornare alle urne non sarebbe stato scongiurato. Così si è pronunciato in favore dello svolgimento delle elezioni, rimandando a dopo il voto qualunque tipo di decisione, ma non escludendo che, una sentenza favorevole ai ricorrenti, possa annullare di fatto i risultati di martedì scorso.

«Se fossimo in un paese nel quale il diritto prevale al 100%, sull’accoglimento del ricorso non ci sarebbe nessun dubbio perché tecnicamente non c’è altra via d’uscita. Ma i giudici sono soggetti a pressioni politiche, per cui la cautela è d’obbligo» spiega a Linkiesta Giuseppe Rossodivita, ex capogruppo radicale in Regione e tra gli estensori del ricorso.

In un parere pro-veritate parere richiesto dai pannelliani, il costituzionalista Michele Ainis avanza seri dubbi sul procedere della giunta Polverini: il decreto di riduzione dei consiglieri sarebbe affetto da «un vizio d’illegittimità costituzionale». Mentre più che giustificato, a suo avviso, è il ricorso: «L’incostituzionalità del decreto potrà farsi valere con gli ordinari mezzi di impugnazione degli atti legislativi […] nonché dalla normativa d’attuazione».

Un parere destinato a mettere in un qualche imbarazzo la neonata maggioranza di centrosinistra, giacché richiesto dai Radicali di concerto con il gruppo di Sinistra Ecologia e Libertà, che oggi sostengono la nuova giunta. D’altronde, spiega Rossodivita che «durante una delle prime riunioni con Marco Pannella per decidere di un’eventuale alleanza elettorale, parlammo a Zingaretti del ricorso. In quell’occasione si disse d’accordo e ci invitò ad andare avanti». Oggi, dall’alto dello scranno di via Cristoforo Colombo, la versione potrebbe essere diversa. 

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