Ritieni possibile che i Social network, Twitter in questo caso, siano davvero in grado di influenzare in modo decisivo scelte politiche importanti come l’elezione del Presidente della Repubblica, come qualcuno ha scritto in queste ore?
Penso che facciano parte sempre più del mix, ma non attribuirei a Twitter o a Facebook virtù taumaturgiche o leggende nere. Si dice che un Parlamento più giovane e digitale sia più sensibile alle pressioni, alle sollecitazioni provenienti dalla Rete con la erre maiuscola. Non ne sono convinto. Immagino che dietro alle scelte dei decision maker ci siano, come sempre, calcoli, interessi e valutazioni di diversa natura (comprese, evidentemente, anche quelle che vengono dall’interazione sui social network). Ma figurarsi un Parlamento di droni o di follower mi pare un po’ una caricatura del tipo Quando c’era Lui caro Lei. Insomma, un pizzico di nostalgia per i bei tempi andati in cui la linea era una e non si discuteva e l’ideologia faceva da TomTom, riportando sempre tutti a casa.
I Social sono un acquario autoreferenziale oppure rappresentano in qualche modo uno spaccato rappresentativo della società italiana?
Intanto, c’è social e social, come sappiamo i numeri di Facebook sono incomparabili con quelli di Twitter. E per linguaggi, dinamiche gli effetti che si producono su una piattaforma sono assai diversi da quelli che rimbalzano su un’altra. Questo, quantitativamente. Sono rappresentativi della società italiana? In qualche misura sì. Conversazioni che si ritrovano poi in tv o sui giornali, nella sfera pubblica, vengono anticipate o amplificate dalla cassa di risonanza dei social network. E questo contribuisce – attenzione, contribuisce – alla formazione di opinioni, a sviluppare un dibattito che può avere conseguenze effettive. Io non penso che i social siano un supplemento o una surroga della democrazia e tanto meno della società: ne sono una fetta, uno spicchio più o meno rappresentativo, ad alta intensità, però. E questo è un valore aggiunto, a saper leggere bene, per tentare di interpretare, di accompagnare la stagione che stiamo vivendo.
Non credi che per il mestiere di giornalista rischi di diventare un pericoloso surrogato allo scavo sul campo?
Il rischio c’è. Il copia e incolla, l’eccesso di velocità nel sparare notizie che non lo erano, la versione 2.0 del “lo ha detto la televisione”. Ma ci sono anche grandi opportunità: penso, ad esempio, al lavoro delle agenzie di stampa. Fino a qualche mese fa sembravano superate e travolte dalla Rete. poi, il fatto che siano rimaste forse l’ultimo terminale a contatto con la realtà della notizia, con il suo aspetto grezzo, di strada, evenemenziale, ne ha fatto forse le vibrisse più sensibili per raccontare il cambiamento in corso. Fior di giornalisti, multitasking, passati dal desk con i comunicati stampa, a inseguire i grillini e bucarne i dispositivi di sicurezza, insomma una seconda vita, importante per chiunque faccia informazione.
Che rapporto si instaura sui Social tra operatori dell’informazione–politici–opinion maker?
Più diretto, disintermediato come usa dire oggi, ma anche pubblico. Qualche rischio si corre: faccio un esempio, vedo nel rapporto con i cinque stelle una punta di competition che a volte fa premio sulla esigenza di informazione. Come a dire, voi ci volete chiudere, sciogliere, ridurre, e noi vi rendiamo la pariglia, inseguendovi, mischiando la palla, trattandovi come faremmo con il più sprovveduto dei peones. Tutto dentro i confini, grazie alla professionalità della nostra stampa, che è alta, a dispetto delle lamentele di rito e di qualche approssimazione. Ma, potenzialmente, qualche rischio di personalizzazione c’è.
È possibile stilare una ricetta sul buon uso dei Social?
No, ricette valide per tutti non ce ne sono. Dipende da chi, dal tipo di social, dagli effetti che si vogliono conseguire, dalla natura della propria presenza su Twitter o Facebook, dalla qualitò delle interazioni. In generale, paga l’autenticità, o meglio una alchimia che somigli un po’ alla propria grana della voce, riconoscibile. Poi c’è chi userà Twitter come un sismografo, chi come un terminale di agenzia, chi come uno sfogatoio, c’è il troll, il secchione, il rimorchione. Inviterei a un uso ibrido, contaminato del mezzo: mescolando un po’ i piani. A volte funziona.