È all’udienza generale di mercoledì primo maggio che papa Francesco ha dato un assaggio reale del suo magistero. Al di là della riforma dell’istituzione, della Curia, del sistema di potere vaticano, il nuovo Pontefice ha infatti il compito di rilanciare la presenza della Chiesa nel mondo dopo anni difficili di ripiegamento in Europa. E così Francesco, di fronte a 60mila persone, ha detto – potremmo sintetizzare – “qualcosa di sinistra” in favore del lavoro e della giustizia sociale e contro una concezione economicistica delle società contemporanee. Chissà cosa ne avrà pensato il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, o ancora meglio il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy.
Ma il Papa ha fatto qualcosa di più e, restando fedele al principio di universalità della Chiesa, ha parlato allo stesso tempo anche del lavoro che diventa una nuova forma di schiavismo in tante parti del mondo; pochi giorni prima, del resto, era intervenuto, di nuovo di fronte a decine di migliaia di persone, in difesa della dignità e dei diritti di lavoratori facendo esplicito riferimento a quanto era accaduto in Bangladesh, nella città di Dacca, dove a causa di un crollo di un enorme edificio di cui già erano stati già segnalati problemi di cedimento strutturale, sono morte centinaia di persone che vi lavoravano all’interno. Circa 430 le vittime finora accertate.
Francesco, quindi, in occasione della festa dl lavoro, ha parlato in modo inaspettatamente chiaro, che non si sentiva da tempo dalle parti di piazza San Pietro. Fra l’altro è questa una delle ragioni del successo di “folla” che continua a registrare ogni uscita pubblica del Pontefice. Ma in realtà le sue parole non appartengono al linguaggio politico nel senso tradizionale, né a una parte politica sola, ma segnano il ritorno prepotente di una dottrina sociale classica, attenta ai fondamentali delle condizioni di vita dei popoli e degli individui, prima cioè che fosse più o meno volutamente confusa da molti esponenti di spicco della Chiesa, con la bioetica, e con temi che l’hanno dilatata fino a farla sbiadire: si andava dall’opposizione alla ricerca sulle cellule staminali, all’aborto, all’opposizione del riconoscimento delle unioni dello stesso sesso e via dicendo. Temi sui quali la dottrina del Papa non è incerta, e tuttavia la scala delle priorità sembra che cominci a cambiare in queste prime settimane di pontificato.
Curiosamente una politica da sempre attenta ad ogni sussurro proveniente da Oltretevere questa volta, impegnata a risolvere una complessa crisi politica ed economica, nonché istituzionale, non ha raccolto con la consueta prontezza le parole del Pontefice. Anche se forse a Enrico Letta o i tre leader sindacali affaticati sul palco di Perugia, l’indicazione di prospettiva generale indicata da piazza San Pietro poteva fare comodo.
E poi è vero che il tema del lavoro, e dei diritti ad esso legato, fanno parte del filone cattolico sociale come di quello socialista, senza dimenticare che il Papa ha parlato anche del ruolo dell’impresa. Ma la questione, nell’impostazione del vescovo di Roma – e non poteva essere diversamente – ha anche una lettura profetica. «Il lavoro – ha detto il Papa – fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione. Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona». «Il lavoro – ha spiegato ancora – per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre».
Quindi entrando sul terreno della storia e della politica, Francesco ha sottolineato: è lavoro che «dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione. E qui penso alle difficoltà che, in vari Paesi, incontra oggi il mondo del lavoro e dell’impresa; penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale». Dunque la famosa crescita, per il Papa, deriva dal lavoro. Un’affermazione forse non del tutto scontata nel dibattito di questi anni.
Successivamente è arrivato «l’invito alla solidarietà, e ai responsabili della cosa pubblica l’incoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione; questo significa preoccuparsi per la dignità della persona». «Aggiungo – ha detto poi – una parola su un’altra particolare situazione di lavoro che mi preoccupa: mi riferisco a quello che potremmo definire come il “lavoro schiavo”, il lavoro che schiavizza.
Quante persone, in tutto il mondo, sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro, mentre deve essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità. Chiedo ai fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e donne di buona volontà una decisa scelta contro la tratta delle persone, all’interno della quale figura il “lavoro schiavo”». Sulla questione il Papa ritornava il 2 maggio, con un tweet nel quale affermava se non si fosse capito bene: «Penso a quanti sono disoccupati, spesso a causa di una mentalità egoista che cerca il profitto ad ogni costo».
E così per la prima volta le parole di un vescovo come Giancarlo Bregantini, oggi alla guida della diocesi di Campobasso e responsabile Cei per i problemi sociali, in passato a lungo vescovo di frontiera a Locri, in Calabria, non sono sembrate una voce fuori dal coro ma erano in sintonia addirittura con il “direttore d’orchestra”. Bregantini alla Radio Vaticana prima si è detto «molto fiducioso» per gli impegni presi dal neo premier Letta e «per i volti nuovi» del governo, poi ha spiegato: «Bisogna che la politica – specialmente certe frange – usino con saggezza certi atteggiamenti, altrimenti la gente si esaspera. Per cui: accompagnare il disagio dei giovani, ma anche dei cinquantenni che stanno perdendo il lavoro e che non si devono sentire soli; tanto meno gli imprenditori che rischiano il suicidio. Ci aiuti San Giuseppe che ha dato dignità al lavoro di Gesù, che ha dato e reso santo il sudore dell’operaio. Sono queste immagini bellissime che ci hanno formato e che possono essere di grande valore anche ora».