“I giovani sono risorse, non categorie da proteggere”

Lettera a Enrico Letta

Caro Presidente del Consiglio,
un abisso separa la condizione occupazionale dei giovani italiani da quella dei coetanei del resto del mondo avanzato. Il record di Neet – i giovani che non studiano e non lavorano – è solo il dato più evidente (molti altri se ne potrebbero citare) del drammatico fallimento delle politiche sino ad oggi realizzate. Siamo diventati uno dei paesi con maggior probabilità che i membri delle nuove generazioni, anziché attivi e intraprendenti, produttori di sviluppo e ricchezza, siano passivamente a carico delle famiglie o un costo sociale.

Il Suo Governo ha giustamente messo al centro delle sue preoccupazioni la disoccupazione giovanile ed ha appena approvato un decreto legge sul lavoro che, pur limitato, rappresenta quantomeno un segnale concreto delle necessità di iniziare a muoversi con urgenza in attesa di misure più rilevanti e incisive. Dall’Europa arrivano inoltre notizie positive che premiano gli sforzi italiani per ottenere ulteriori fondi finalizzati a rilanciare economia e lavoro.

Ma proprio le inadempienze del passato e i modesti risultati ottenuti impongono anche un ripensamento nell’impostazione di fondo delle politiche a favore dell’occupazione giovanile. Proprio a beneficio di una tale riflessione proviamo a riassumere in cinque punti, aperti alla discussione, quanto finora è mancato – come approccio prima ancora che come azione – al fine di rimuovere strutturalmente gli ostacoli che da troppo tempo frenano il pieno inserimento delle nuove generazioni nel processo di sviluppo del Paese.

Un mezzo decalogo per ripensare le politiche di attivazione delle nuove generazioni

  • Zero (premessa): la scarsa capacità di attivare i giovani nel sistema produttivo italiano non è una “emergenza” ma una “persistenza”

I Governi che si sono succeduti negli ultimi anni sono sistematicamente caduti nell’equivoco di considerare la bassa e scadente partecipazione dei giovani al mercato del lavoro come una “emergenza”. Le difficoltà del paese a creare ricchezza e ad attivare nei tempi e nei modi adeguati le nuove generazioni è invece una “persistenza” che dura oramai da decenni e che la crisi ha solo reso ancor più acuta. Superare quindi l’“emergenza” e tornare ai livelli degli indicatori pre-crisi non è per l’Italia una soluzione.

Ridurre di due punti percentuali la disoccupazione degli under 30, come mira ad ottenere il D.l. lavoro appena approvato, è coerente con la reazione all’emergenza. Ma bisogna poi agire anche sui fattori “persistenti” che, più che nel resto d’Europa e da ben prima della recessione, deprimono l’attivazione dei giovani. I nuovi fondi in arrivo dall’Ue, e altre risorse che vanno assolutamente messe in campo, devono mettere le premesse per un vero e permanente cambio di rotta.

  • Primo: non politiche del lavoro “per” i giovani, ma della crescita “con” le nuove generazioni

Quelle che negli ultimi decenni abbiamo visto, nella loro larga inefficacia, sono state misure varate senza una vera riflessione su come rendere positivo il binomio valorizzazione delle nuove generazioni e crescita del paese, in modo che si sostengano a vicenda in un circolo virtuoso che porti entrambe al rialzo.

I giovani italiani vanno considerati come risorsa imbrigliata da liberare con tutte le sue potenzialità, non una categoria svantaggiata da proteggere. Non servono quindi specifiche misure di incentivo all’assunzione dei giovani con atteggiamento paternalistico. Il cambiamento vero può arrivare solo da politiche che migliorano l’efficienza del mercato del lavoro, l’allocazione delle risorse, la produttività, l’innovazione e la competitività. Se si va in questa direzione il miglioramento della condizione delle nuove generazioni e del loro contributo alla crescita verrà di conseguenza.

  • Secondo: serve una visione integrata delle politiche non tanto riferite all’età ma agli snodi tra scelte formative, accesso al mondo del lavoro ed entrata nella vita adulta

La maggior quota di Neet in Italia rispetto agli altri paesi, da un lato è dovuta alle nostre maggiori carenze nel raccordo tra formazione e lavoro, d’altro lato è anche morbosamente intrecciata con la spiccata dipendenza passiva dei giovani italiani dalla famiglia di origine che, in assenza di politiche di welfare, diventa l’unico ammortizzatore sociale.

Il tema dell’occupazione deve quindi inserirsi in un sistema più ampio di misure che comprendano in modo integrato e coerente, non solo l’orientamento formativo, l’integrazione scuola/lavoro (giustamente indicato nel D.l.), ma anche la conquista dell’autonomia, il mantenimento di una condizione attiva, la realizzazione di scelte di vita che impegnano positivamente verso il proprio futuro.

Strumenti che favoriscono l’autonomia e l’attivazione rendono i giovani più dinamici e responsabilizzati nel migliorare la propria condizione nel mercato del lavoro, riducono le disuguaglianze di partenza e rendono meno vulnerabili verso il rischio di intrappolamento in percorsi di pura precarietà o disoccupazione di lunga durata. La garanzia non sta nel posto, ma nel fatto di non essere abbandonati a se stessi e all’aiuto passivo delle famiglie.

  • Terzo: Non sono solo i giovani a doversi adattare (spesso al ribasso) a quanto offre il mercato, ma è anche il sistema produttivo che deve fare un salto di qualità

Basta con la retorica dei giovani bamboccioni, choosy e sfigati. Il Suo Governo, a differenza dei precedenti, più che giudicare si assuma prima di tutto l’impegno di capire e agire. Anche perché i dati di varie ricerche confermano come non manchi lo spirito di adattamento dei giovani, che in molti casi pur di non rimanere inattivi accettano un lavoro sottopagato, lontano dalle proprie aspirazioni e non direttamente coerente con il proprio percorso di studi. Ma se l’Italia sa offrire solo questo non è tanto l’ambizione dei giovani a dare il meglio di sé che viene frustrata, ma la possibilità del sistema paese stesso di crescere, diventare competitivo e creare benessere.

Serve quindi una politica industriale che allarghi le opportunità nei settori più dinamici e innovativi, che riconosca caratteristiche e potenzialità delle nuove generazioni e riadatti il modello di sviluppo in modo da metterle meglio a frutto a vantaggio di tutti. Il basso investimento in ricerca e sviluppo e la scarsa valorizzazione del capitale umano dei giovani, rischiano di spingere sempre di più i nostri migliori talenti all’estero, a disincentivarne il ritorno o limitare l’attrazione di altri altrettanto qualificati. Se non si rompe questa spirale negativa qualsiasi azione riuscirà solo ad alleviare temporaneamente il dolore del paziente ma non a guarirlo.

  • Quarto: basta con le politiche ai margini e l’alibi delle risorse che non ci sono

Un limite delle politiche passate è anche quello di essere state realizzate “ai margini”, senza una visione chiara degli obiettivi da ottenere e delle misure necessarie per conseguirli, mettendo in campo tutte le risorse richieste a tali fini.

L’azione verso l’attivazione delle nuove generazioni è stata condizionata alle risorse che marginalmente si riusciva a ritagliare al netto di tutte le altre voci di spesa, con conseguenti obiettivi al ribasso, mai davvero incisivi. La condizione dei giovani è così andata peggiorando negli ultimi vent’anni fino all’acuto della crisi. La questione non può ora essere quella di come lenire gli effetti negativi della recessione, ma come uscirne più forti e in condizioni strutturalmente migliori di come ci si è entrati.

Con quali risorse? L’aiuto ottenuto dall’Europa è importante, in senso sia simbolico che sostanziale, ma non risolutivo per una vera svolta. Serve anche la capacità, il coraggio, la determinazione, di riorganizzare la spesa pubblica spostando risorse dalle politiche passive a quelle attive. Solo passando da una visione statica e rassegnata al declino che porta semplicemente a tagliare e spesso in modo lineare, ad una visione dinamica che valuta come redistribuire in modo da generare maggior crescita e benessere, si può rimettere in moto il paese.

E questo non è possibile farlo solo riducendo sprechi ed inefficienze, senza intaccare anche stratificate difese corporative, privilegi acquisiti in passato, posizioni di rendita. Tutto va rimesso in discussione e per ciascun euro destinato in passato ad una specifica voce ci si deve chiedere se può ridurre maggiormente le disuguaglianze e rendere di più in termini di crescita se spostato altrove.

  • Quinto: la politica deve realizzare misure che funzionano ed è sulla capacità di migliorare oggettivamente le condizioni delle nuove generazioni che va giudicata

Quello che manca in Italia rispetto agli altri paesi è anche una cultura del monitoraggio delle leggi implementate e della valutazione dell’efficacia con indicatori condivisi e predefiniti. In mancanza di questo c’è solo la politica degli annunci e delle vaghe promesse. La buona politica ha invece tutto l’interesse a farsi valutare e a convincere l’elettorato non distribuendo risorse e privilegi in modo clientelare o accontentando i poteri forti, ma dimostrando di aver migliorato concretamente il benessere dei cittadini. Ma a monte serve anche un’idea chiara del modello di sviluppo che si intende costruire, una rotta chiara su cui puntare, non solo misure estemporanee per difendersi dal rischio di naufragio.

Non si cresce quando oggi si produce più di ieri, ma quando oggi si mettono le condizioni per poter far di più e meglio domani, aiutando le nuove generazioni ad esprimere il meglio delle loro potenzialità. Ed è sul successo o meno di questo obiettivo che va giudicata l’azione della classe dirigente di un paese.

Produrre indicatori non solo sull’efficacia delle misure rivolte ai giovani, ma anche sulle ricadute del resto dell’azione di Governo su condizioni e prospettive delle nuove generazioni, è il segno di discontinuità che la “buona politica” deve darsi se vuole distinguersi dal passato ed iniziare davvero una stagione nuova.

I migliori auguri di buon lavoro a Lei e al Suo Governo,

Alessandro Rosina
Marco Albertini
Arianna Bazzanella
Giulia Cordella
Francesco Giubileo
Michele Raitano
Eleonora Voltolina

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