Dopo oltre 400 anni, la Chiesa abolì nel 1966 l’indice dei libri proibiti. Il primo elenco, promulgato da Paolo IV, fu (secondo il sito Storia della Stampa dell’Università di Bologna) «di gran lunga il più radicale e severo della storia».
Diviso in tre gruppi, comprendeva una sezione relativa agli autori non cattolici di cui si proibiva l’intera opera, una sezione con «126 titoli di 117 autori, 332 titoli anonimi e due liste aggiuntive: 45 Bibbie e Nuovi Testamenti vietati e 61 tipografi la cui produzione è interamente bandita. Il terzo gruppo, per finire, quello dei cosiddetti “libri omnes”, comprende intere categorie di libri, ad esempio quelli che non riportano l’indicazione dell’autore o dello stampatore, quelli senza data e luogo di pubblicazione, quelli usciti senza permesso o presso stampatori eretici, o ancora le opere di astrologia e magia». Si trattava di regole molto severe, intese a controllare tutta la produzione scritta dell’epoca e non solo in ambito religioso. Così venivano vietati il Decameron di Boccaccio, tutte le opere di Machiavelli, Rabelais e Erasmo da Rotterdam. Qui è possibile consultare l’elenco completo.
Dopo il concilio di Trento, fu promulgato un secondo indice, sotto papa Pio IV. Si trattava di un elenco meno restrittivo, che conteneva solo libri eretici ma in cui era data la possibilità di “espurgare” i testi. Si trattava di un procedimento per cui si potevano tagliare i soli passaggi considerati “proibiti”, stravolgendo però il senso delle opere. Ebbe applicazione fino al 1596. Venne poi istitutita la “Congregazione dell’Indice” e, a seguire, furono promulgate nuove versioni dell’elenco dei libri proibiti. Questa fu l’ultima versione datata 1948, poi abolita con la notificazione riportata qui sotto, datata 14 giugno 1966.
Notificazione riguardante l’abolizione dell’Indice dei libri
[…]
questa Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, dopo aver interrogato il Beatissimo Padre, comunica che l’Indice rimane moralmente impegnativo, in quanto ammonisce la coscienza dei cristiani a guardarsi, per una esigenza che scaturisce dallo stesso diritto naturale, da quegli scritti che possono mettere in pericolo la fede e i costumi; ma in pari tempo avverte che esso non ha più forza di legge ecclesiastica con le annesse censure.
[…]
La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo lo spirito della Lettera Apostolica Integrae servandae e dei Decreti del Concilio Vaticano II, si pone a piena disposizione, in quanto sia necessario, degli Ordinari, per aiutare la loro solerzia nel vagliare le opere pubblicate, nel promuovere la sana cultura in opposizione a quella insidiosa, in stretto contatto con gli Istituti e le Università ecclesiastiche.
Qualora, poi comunque rese pubbliche, emergessero dottrine e opinioni contrarie ai principi della fede e della morale e i loro autori, benevolmente invitati a correggerle, non vogliano provvedere, la Santa Sede userà del suo diritto-dovere di riprovare anche pubblicamente tali scritti, per provvedere con proporzionata fermezza al bene delle anime.
Si provvedere pertanto, in modo adeguato, a che sia data notizia ai fedeli, circa il giudizio della Chiesa sulle opere pubblicate.
Dato a Roma, dal Palazzo del S. Offizio, il 14 giugno 1966.
+ A. Card. Ottaviani
Pro-Prefetto della S.C. per la Dottrina della Fede+ P. Parente
Segretario