Matteo Renzi è inevitabilmente il cavallo di punta del futuro Pd. Lo sa così bene il suo (ex) avversario Massimo D’Alema che in pochi mesi è passato dall’ostracismo totale verso il sindaco di Firenze alla bonaria e paternalistica investitura a futuro leader del partito democratico, con grande scorno di Pierluigi Bersani. Quando un peso massimo scafato come l’ex premier volta la gabbana in così poco tempo, significa che gatta ci cova. Eppure la figura del predestinato, in panchina in attesa del momento giusto, non si addice ai tempi incerti ed emergenzali della nostra politica. Soprattutto se Renzi passa le sue giornate sempre più spesso lontano da Firenze, tra dibattiti pubblici, studi televisivi e interviste senza perdere occasione per esternare ormai a cadenza quotidiana sul governo e sui fatti principali della politica e dell’attualità. E quando rimane a Firenze, lo fa per incontrare e fare la pace con l’ex nemico Sergio Marchionne, come successo oggi. Come dire sempre e comunque eventi che travalicano il suo ruolo di sindaco.
È naturale e non ce ne stupiamo. Renzi è un personaggio nazionale e come tale è giusto che si comporti. Per questo deve decidere in fretta che fare da grande: se deve candidarsi alla guida del Pd, rompa gli indugi adesso; la doppia veste (sindaco e leader virtuale del partito) si giustifica solo davanti ad un obiettivo dichiarato e per un tempo limitato: la gente lo sa e si regola di conseguenza. Restare invece nel limbo, a Firenze ma non più a Firenze (i dati lo indicano come uno dei primi cittadini italiani meno presenti in Consiglio comunale) con la testa evidentemente altrove, serve solo ad alimentare un presenzialismo mediatico che alla lunga stanca…