La Corte costituzionale dopo aver deciso che l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori sulle Rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) è incostituzionale perché include solo sindacati che hanno firmato i contratti delle aziende e non anche quelli contrari, ora trova incostituzionale anche il decreto “Salva Italia”, ove si stabilisce lo snellimento degli organi delle province e se ne riduce il numero, di fatto per realizzare le riduzioni di spesa richieste dalla Banca centrale europea e dalla Commissione europea come condizione per abbassare il nostro elevato debito pubblico; fattore che tuttora mal dispone gli investitori. Alla base dell’apparente irrazionalità delle due sentenze – che contraddicono le riforme che sono state richieste all’Italia per rispettare i vincoli europei – c’è un’ideologia preoccupante di natura vagamente dirigista e organicista, che la Corte assume più o meno consapevolmente. È infatti di puro stampo organicista il principio per cui le Rsa devono includere tutti i sindacati rappresentativi a livello nazionale, anche se palesemente contrari ai contratti aziendali. Ed è parimenti di stampo concertativo la tesi per cui le province non possono essere ridotte di numero, se non si attiva la procedura di cui all’articolo 133 della Costituzione (approvato con la riforma costituzionale del 2001), secondo la quale le nuove province vanno istituite con leggi statali su iniziativa dei comuni interessati, una volta sentite le regioni.
Questa norma non dice affatto che le province vanno ridotte di numero con la stessa procedura con cui possono essere aumentate, ossia con il consenso delle autonomie locali. Se si dovesse chiedere – sempre – il parere degli interessati va da sé che le riduzioni di spesa diventerebbero impossibili. Ma la nostra Corte costituzionale è oramai diretta su una deriva neocorporativa. Così essa adotta una Costituzione materiale diversa da quella scritta e giudica inco- stituzionali delle urgenti politiche di contenimento della spesa attuate (se at- tuate) con decreti legge, convertiti in legge, solo perché manca la concertazione con le autonomie. La Corte non si confronta con la realtà e verrebbe da chie- dere ai giudici: non c’è una norma del trattato di Maastricht che dice che noi siamo in economia di mercato, con limiti al deficit e al debito, e ora ce n’è una che ci impone un tendenziale pareggio? Roma mette alla porta Bruxelles?