Chi era Séamus Heaney, premio Nobel morto oggi

Una sua poesia e il ritratto

Schierandosi

Il peso da 56 libbre. Solida unità di ferro
della negazione; marchiata e fusa con un tramezzo,
una corta traversa forgiata per maniglia,
spessa come un piolo,

Peso squadrato dall’aspetto innocuo,
finché non provi a sollevarlo, quindi un scricchiolio d’ossa,
forza disintegra-vita.

Nera scatola di gravità, l’inamovibile
stampo, tarchiata radice del peso morto.
Eppure prova a controbilanciarlo

con un altro peso posto su una basculla
– una basculla ben calibrata, oleata di fresco –
e ogni cosa trema, si effonde di dare e avere.

*
E a questo ammontano le buone notizie:
questo principio del sopportare, del far buon viso
a cattivo gioco e dare il proprio appoggio dovendo solo

controbilanciare con il proprio ciò che è intollerabile
negli altri, dovendo sopportare
qualsiasi cosa sia stata concordata e accettata

contro il nostro migliore giudizio. La sofferenza
passiva fa andare in tondo il mondo.
Pace sulla terra, uomini di buona volontà, tutto ciò

porta bene finché l’equilibrio tiene,
il piatto sorge fermo e lo sforzo dell’angelo
si prolunga fino a un grado sovrumano.

*
Rifiutare l’altra guancia, lanciare la pietra,
non agire così, alle volte, non contrastare
l’adempiente che ti offende d’essere

è fallire il colpo, te stesso, la regola intrinseca.
Maledici chi ti ha colpito! Quando i soldati beffeggiarono
Gesù bendato ed Egli, a sua volta, non li irrise

non si offesero né impararono nulla, tuttavia
qualcosa fu reso manifesto – il potere
del potere non esercitato, della speranza intuita

dagli impotenti, per sempre! Tuttavia, per Cristo,
fammi un favore, almeno per questa volta:
maledici, dai scandalo, lancia la pietra.

*
Due aspetti in ogni questione, certo, certo….
ma ogni tanto, schierarsi è la sola cosa
a cui si può ricorrere e senza

discolparsi o compatirsi.
Ahimè, una sera che ci voleva un colpo a seguire,
e un colpo secco t’avrebbe fatto rodere d’invidia,

replicasti ch’ era la mia limitatezza
a mantenermi destro, e avesti una mia prima resa.
Mi trattenni quando avrei dovuto invece darci dentro

e persi (mea culpa) il mordente.
Una cavalleria del tutto fuori luogo, vecchio mio.
A questo punto, solo un colpo basso lava l’onta.

Weighing In

The 56 lb. weight. A solid iron
Unit of negation. Stamped and cast
With an inset, rung-thick, molded, short crossbar

For a handle. Squared-off and harmless-looking
Until you tried to lift it, then a socket-ripping,
Life-belittling force –

Gravity’s black box, the immovable
Stamp and squat and square-root of dead weight.
Yet balance it

Against another one placed on a weighbridge –
On a well-adjusted, freshly greased weighbridge –
And everything trembled, flowed with ’give and take.

And this is all the good tidings amount to:
This principle of bearing, bearing up
And bearing out, just having to

Balance the intolerable in others
Against our own, having to abide
Whatever we settled for and settled into

Against our better judgment. Passive
Suffering makes the world go round.
Peace on earth, men of good will, all that

Holds good only as long as the balance holds,
The scales ride steady and the angels’ strain
Prolongs itself at an unearthly pitch.

*
To refuse the other cheek. To cast the stone.
Not to do so some time, not to break with
The obedient one you hurt yourself into

Is to fall the hurt, the self, the ingrown rule.
Prophesy who struck thee! When soldiers mocked
Blindfolded Jesus and he didn’t strike back

They were neither shamed nor edified, although
Something was made manifest – the power
Of power not exercised, of hope inferred

By the powerless forever. Still, for Jesus’ sake,
Do me a favour, would you, just this once?
Prophesy, give scandal, cast the stone.

Two sides to every question, yes, yes, yes…
But every now and then, just weighing in
Is what it must come down to, and without

Any self-exculpation or self-pity.
Alas, one night when follow-through was called for
And a quick hit would have fairly rankled,

You countered that it was my narrowness
That kept me keen, so got a first submission.
I held back when I should have drawn blood

And that way (mea culpa) lost an edge.
A deep mistaken chivalry, old friend.
At this stage only foul play cleans the slate.

UNA NOSTRA INTERVISTA AL POETA: “Il mondo è un mattatoio, solo la poesia dà rifugio”

La Fortuna letteraria di Séamus Heaney

L’espressione “fortuna letteraria” è particolarmente idonea a descrivere il percorso compiuto dall’opera di Seamus Heaney nell’arco di un ventennio. L’assegnazione del Nobel per la Letteratura, nel 1995 a questo autore, mentre rappresentava il massimo tributo a un’arte poetica che aveva saputo guadagnarsi un successo di portata mondiale, focalizzava l’attenzione dell’opinione pubblica su tutta la poesia irlandese contemporanea prodotta nel nord dell’isola, e dunque, in modo indiretto, sui primi seri tentativi di una sistemazione politica del conflitto civile in nord-Irlanda. È legittimo affermare che la fama di Heaney sia in buona parte dovuta anche alla sua capacità di rendere conto intimamente di un fenomeno sociale quanto mai problematico e attuale come quello nord-irlandese dei Troubles.

Il Nobel per la Letteratura era stato conferito, in passato, ad altri tre scrittori irlandesi, W.B. Yeats, G.B. Shaw e Samuel Beckett. Tuttavia, quella era la prima volta che un tale riconoscimento andava a un autore cattolico dell’Irlanda del Nord, proveniente da quell’area territoriale e politica dell’isola denominata Ulster britannico. È a Belfast, infatti, che risiedono le radici culturali della poesia di Heaney, una poesia che afferma il valore collettivo delle esperienze vissute dal poeta e dal suo gruppo di appartenenza e che vive di incessanti allusioni alla guerra civile.

In tal senso, le drammatiche circostanze storiche che si erano determinate nel 1921 a seguito dell’aspra guerra di Indipendenza e che, successivamente, erano venute fissandosi in laceranti opposizioni politico-religiose, si rispecchiano a volte obliquamente, altre in modo esplicito, nelle analisi che Heaney offre delle dinamiche del conflitto e delle sue ripercussioni sulla psicologia del singolo e della collettività. Tali precarie condizioni rimasero paradossalmente stabili per un lungo arco di tempo, fino agli anni Sessanta, quando l’equilibrio mantenuto dalle fazioni in lotta cominciò a disintegrarsi con estrema violenza.

Nell’opera di Heaney, dunque, la lirica personale affonda le sue radici nel sistema di valori della comunità interpretativa, rappresentando, in tal modo, la possibilità di una relazione feconda tra il poeta e la sua audience. Come nell’opera di Thomas Hardy, John Clare e Robert Bridges, la scrittura poetica non viene confinata all’ottica del singolo ma votata alle narrazioni della gente comune, arricchendosi di una matrice popolare fatta di tonalità musicali desunte dalle folk-songs * irlandesi. È come se Heaney desse voce alle “masse mute” a cui attribuisce conoscenza e consapevolezza, e dalle quali riceve in cambio una sorta di mandato sociale. Sebbene questi legami di significazione coincidano strettamente col territorio, Heaney prospetta un’emancipazione dai limiti che la forte appartenenza a un nucleo impone.

La qualità che garantisce questa capacità di “sconfinamento” è un’elevata consapevolezza poetica che mantiene vivo un contatto con le più alte tradizioni letterarie europee, pur fondandosi sul patrimonio di una collettività contadina che tramanda da secoli una memoria essenzialmente orale.

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