A inizio 2011 sul Guardian ha cominciato a essere pubblicata una rubrica di calcio firmata The Secret Footballer. Un calciatore professionista, cioè, che ci teneva a esprimersi su questioni più o meno di attualità restando anonimo. Anche se in teoria la scelta dell’anonimato si spiega col desiderio di restare libero da ogni forma di censura, questo aspetto ha finito per prevalere sul resto. Il blog Who is the secret footballerraccoglie gli indizi disseminati nei vari articoli e stila una lista di possibili candidati sulla base di una serie di attributi necessari perché un qualsiasi calciatore possa essere sospettato di essere TSF (cioè il calciatore misterioso): come ad esempio, punto 25: ha un amico africano che ha giocato per una squadra russa; oppure, punto 33: ha giocato in una squadra il cui capitano una volta ha indossato una fascia con la «C» scritta a pennarello. Dopo diciotto mesi gli articoli di TSF sono stati raccolti, leggermente rielaborati, in un libro, pubblicato lo scorso marzo in Italia col titolo Io sono il calciatore misterioso (Isbn).
TSF è di umili origini, dice di aver giocato con scarpini di seconda mano e di avere amici proletari che lo mettono in imbarazzo nei ristoranti di lusso. Suo padre però aveva una discreta collezione di classici: TSF è in grado di citare Shakespeare, Dickens e Joyce; e vinili: Beatles, Pink Floyd, Dylan. TSF ha giocato nelle categorie inferiori prima di salire in Premier League, una volta ha restituito a John Terry un colpo preso durante una mischia in area di rigore e in generale non sembra avere problemi a trovarsi coinvolto in una rissa. È depresso e appena entrato in casa si siede su una sedia di Charles Eams, l’unico posto in cui si sente sicuro da cui non si muove più fino all’ora di cena. Sta meglio da quando è in terapia e la mattina prende gli antidepressivi, ma si considera ancora un talento sprecato (uno dei migliori della sua generazione: altro indizio importante) e si chiede cosa sarebbe stato di lui se non avesse fatto il calciatore: «Sarei riuscito a partecipare al matrimonio del mio migliore amico, a cui avevo promesso di fare da testimone, invece di essere sostituito contro l’Arsenal? Avrei potuto partecipare ai funerali che ho mancato e per i quali quasi mai sono stato perdonato?». È un amante dei vini e a differenza degli altri giocatori che frequentano le escort non tradirebbe mai la propria moglie. O almeno così scrive lui, ma come facciamo a sapere che almeno la moglie di TSF non sia al corrente della sua identità segreta?
Anche volendo ignorare il toto-identità la questione dell’anonimato resta problematica. Sulla copertina di Io sono il calciatore misterioso è riportato il virgolettato del Guardian: «Chi è il giocatore che ha svelato i segreti del calcio professionistico?». Paul Johnson nell’introduzione sostiene che scrivere queste stesse cose sarebbe stato «impensabile alla luce del sole»; e in una delle prime pagine TSF dice: «Molte di queste storie non dovrei neanche raccontarvele. Ma lo farò ugualmente». Con questi presupposti poi è normale che il lettore si aspetti davvero dei segreti, delle rivelazioni impossibili da dire con nome e cognome. Il problema è che non c’è nessun segreto in particolare da rivelare, TSF non aggiunge niente all’immagine del calciatore pieno di soldi e di vizi. Persino rispetto a una normale biografia, lui non ha la credibilità per raccontare gossip sui colleghi dato non possiamo neanche avere la certezza che a scrivere sia davvero un giocatore professionista. Anche quando racconta della sua depressione: è difficile impressionare un pubblico che ha già letto i problemi di Agassi e di Ibra.
Io sono il calciatore misterioso però è una confessione onesta (o almeno a me lo sembra) su cosa significhi ricoprire il ruolo privilegiato di sportivo di alto livello all’interno della nostra società. Forse allora l’idea di segreto applicata al mondo del calcio va intesa come il tentativo di parlare in maniera aperta di quegli ambiti fondamentali della vita dei calciatori di cui di solito non si parla. Il calcio come un lavoro, una carriera. Ad esempio, a differenza della biografia di Pirlo, qui si parla di soldi. Leggendolo ho avuto l’impressione che fosse il primo libro scritto dal punto di vista di un calciatore in cui non si sente la voce del giornalista che lo ha aiutato in sottofondo. Messi da parte il desiderio naturalissimo di scoprire di chi si tratta veramente e la nostra altrettanto naturale aspirazione alle Grandi Verità, è un libro pieno di cose interessanti. E la mia copia è piena di orecchie.
Nelle pagine in cui ho fatto le orecchie si parla di:
- L’importanza del servizio catering a fine partita:
«l’Arsenal supera tutti alla grande servendo crocchette di pollo».
- Il rapporto con i tifosi come fonte d’ansia:
«A un certo punto fare la spesa al supermercato si trasformò in un’esperienza surreale, con gente che mi seguiva per vedere cosa infilassi nel carrello»;
«La prima volta che un tizio mi chiese di fargli avere un provino per la mia squadra, credetti che mi stesse prendendo per il culo»;
«Ho adottato una soluzione decisamente drastica per evitare chi vuole un po’ del mio tempo. Ho smesso di uscire».
- Come i calciatori vengono usati dai media ma a loro volta possono farsi scrivere articoli da giornalisti fidati nei momenti di difficoltà, quando ad esempio hanno un problema con l’allenatore.La paranoia di TSF:
«Tutti quelli che incontro mi sembrano giornalisti».
- Calciatori esperti che consigliano a TSF come si rinegoziano i contratti:
«Ti conviene non chiedere troppo, perché, il giorno che dovesse arrivare un nuovo manager, potrebbe volerti togliere dal libro paga. Devi crescere in modo incrementale».
- I regali:
«Quando uno dei nostri compagni ha un bambino, non ci si muove più nel centro sportivo per tutte le ceste e i vestitini di Harrods. I concessionari fanno la fila per venderci auto a prezzi ridicoli».
- L’importanza dell’ascesa sociale per TSF:
«(…) potersi a malapena permettere un mutuo, tenersi stretto un posto di lavoro in fabbrica o concedersi una settimana di vacanza in Spagna ogni tre anni. Alcune persone sono felici così e va benissimo, ma non io».
- C’è un intero capitolo scritto da un procuratore, anch’esso anonimo, in cui spiega in cosa consiste il suo lavoro:
«Negoziare è un’attività complessa: dì la cosa sbagliata al momento sbagliato e rischi di mandare in aria un accordo»;
e difende la categoria dall’accusa di essere tutti degli avidi bastardi:
«Esiste gente spietata, come in ogni settore. Nel nostro settore, però, non riusciamo a liberarci dell’idea che il calcio sia della gente e questa gente appartiene alla classe operaia, il che significa che a nessuno è permesso fare “una quantità oscena di soldi”. Ma i soldi ci sono già, altrimenti non verremmo pagati tanto».
- I soldi, sempre i soldi:
«Ho perso il conto delle volte che ho sentito dire: “Se potessi prendere gli stessi soldi facendo qualcos’altro, mollerei in un secondo”»;
«Esistono giocatori che cambiano che cambiano club ogni anno per prendere buonuscite e bonus di trasferimento»;
«Ho sempre pensato di non guadagnare abbastanza rispetto ad altri giocatori che sembravano poter beneficiare di una macchina pubblicitaria alle spalle. D’altro canto ho guadagnato in una settimana quello che gran parte dei miei amici guadagnava in un anno intero e, per quanto ho potuto, l’ho condiviso con loro».
Daniele Manusia
Andrea Pirlo, un’autobiografia molto normale
Penso quindi gioco non è una narrazione sportiva borghese ma il racconto di un mondo chiuso
Adesso prendete quest’ultima frase e confrontatela con l’empatia di Pirlo per «l’operaio che fatica ad arrivare alla fine del mese». Verso la fine del libro TSF descrive una serata passata al TAO di Las Vegas con dei colleghi. Dietro di loro, un tavolo con dei calciatori più importanti tra cui uno del Barcellona, che gli soffiano la escort più bella offrendole il doppio. Il tavolo di TSF comincia allora una cosa chiamata «guerra di champagne», che consiste nel mandarsi reciprocamente, tra tavoli nemici, bottiglie via via più costose finché per uno dei due il conto diventa troppo salato, col rischio di farsi cacciare dal locale. «Il manager di sala manderà automaticamente altre ragazze a sedersi ai tavoli per bere tutto quello champagne, fomentando così la guerra; e ogni ragazza, ovviamente, andrà pagata». L’espediente dell’anonimato ha l’effetto di universalizzare gli aneddoti di TSF, anche quelli più coatti. Non abbiamo scampo, non possiamo prendercela con nessuno. È così.
Dopotutto, dato che il libro è scritto bene devo confessare che mi piacerebbe sapere di chi si tratta. Ha persino un finale da perfetto romanzo di formazione. TSF ha ritrovato la serenità interiore in coincidenza con la fine della propria carriera e il conseguente ridimensionamento economico, in una delle ultime scene sta frugando in giro per casa in cerca di qualcosa da vendere, e ricorda: «Avevo abiti su misura realizzati a Savile Row e mia moglie, al matrimonio, aveva un abito da sposa su misura. I suoi anelli provenivano dalla sala privata di Tiffany in Bond Street, come anche le sue collane e gli orecchini. Accompagnavo i bambini alla loro scuola privata da 3mila sterline a semestre su una delle tre auto nuove che possedevamo, una delle quali era un’edizione limitata fatta importare appositamente».
È impossibile compatire davvero TSF, ma è difficile anche invidiarlo. Certo non piacerà a chi guarda il calcio come un piano simbolico, a chi cerca eroi e passioni immortali, ma nella vita dei calciatori queste non sembrano essere le cose più importanti, alla fine, e magari è questa la Grande Verità promessa dal calciatore misterioso.
Twitter: @DManusia