Cosa insegnano a Pd e Pdl le parole di Napolitano

Dopo la nota sulla condanna a Berlusconi

Dovessimo sintetizzarla, diremmo che Giorgio Napolitano ha applicato al caso Berlusconi il principio di realtà, come sempre ha fatto in questi suoi anni al Colle, tagliando i viveri ai falchi di destra e sinistra: impunità contro giustizialismo. E stoppando una stucchevole e fastidiosa attesa per un suo gesto (impossibile in uno stato di diritto) che qualcuno si immaginava salvifico per il Cavaliere. Non ci piace fare glosse e chiose alle parole del capo dello stato anche perché entreremmo in un terreno di congetture e subordinate ad oggi imprevedibili e s6inceramente da bar sport. Meglio provare a capire cosa potrebbe-dovrebbe cambiare dentro al Pdl e al Pd. Perché le parole del Colle segnano comunque uno spartiacque.

Il partito di Berlusconi farebbe bene ad accettare la realtà espressa chiaramente dalla sentenza di condanna definitiva della Cassazione sul processo Mediaset, a cui Napolitano ha voluto aggiungere un tassello importante: il riconoscimento politico del ruolo del Cavaliere. Questo significa che è arrivato finalmente il momento in cui, se è capace, il centrodestra cominci a cercarsi un successore e un nuovo modello di partito, immaginando un futuro affrancato dal padre padrone. Chi ha idee, coraggio e tenacia dentro il Pdl si faccia avanti. Gli alibi sono finiti così come l’illusione che Napolitano potesse fungere da quarto grado di giudizio rimettendo magicamente in campo il Cavaliere. Non è così. Il percorso eventuale di grazia è stato ieri ben perimetrato dal capo dello Stato. È possibile che Berlusconi alla fine accetti di bere l’amara cicuta (per lui) accettando lo status di condannato, ma sarebbe a quel punto, nel caso Napolitano gliela concedesse, una agibilità politica da padre nobile, non certo da frontman della politica o da nuovamente candidato premier. La ventennale carriera politica di Silvio è arrivata al capolinea, non c’è nessun paese reale disposto a scendere in piazza contro le toghe rosse come vorrebbero fargli credere certi falchi. Nessuna rivolta è alle porte: oggi il focus è tutta sulla crisi e le riforme da fare e non fatte in passato proprio da Berlusconi. Quindi tocca a lui e al suo partito decidere come compierla tanto è vero che per i più maliziosi quello di Napolitano è stato un vero colpo da maestro che ha messo in trappola il Cavaliere.

Quanto al Pd, invece, le parole del capo dello stato dovrebbero insegnare finalmente qualcosa. L’obiettivo di Napolitano è lasciare il Colle tra qualche tempo con un paese più rasserenato, dove i toni degli ultimi vent’anni di bipolarismo di guerra si stemperino. Questo significa che verrà gradualmente meno, in un gioco di scongelamento, il fattore B che ha tenuto insieme il centrosinistra in questi venti anni. Verrà meno l’alibi emergenziale del tutti contro Silvio come fattore unificante e totalizzante. Vorrà dire che dirigenti ed esponenti protagonisti di questa stagione dovranno pure loro passare la mano. È una stagione che si chiude anche a sinistra, giocoforza. Serviranno idee nuove, una visione compiutamente riformista sul paese e la società di oggi e di domani, autonomo e non subalterno a nessuno, che sia Berlusconi, i sindacati o pezzi di magistratura. Il tempo del governo di larghe intese va usato per avviare questa trasformazione.

Infine una breve considerazione sul ruolo assunto da Giorgio Napolitano in questa lunga crisi italiana. Lo abbiamo scritto tante volte: senza la sua supplenza il paese due anni fa probabilmente non c’è l’avrebbe fatta, lo testimonia la sua rielezione eccezionale a furor di popolo. Gigante tra nani politici litigiosi e provinciali. Resta il fatto che, ancora una volta, nelle sue parole di ieri – il niet allo scioglimento delle Camere e ad altre ipotesi di governo fuori delle larghe intese – si rintracciano valutazioni e scelte politiche che probabilmente esulano dalle prerogative classiche di un presidente di repubblica parlamentare. È l’effetto della lunga crisi italiana, del conservatorismo della nostra Carta fondamentale e del fatto che, in politica, i vuoti si riempiono sempre. L’anomalia però rimane tutta. E quando, speriamo presto, saremo fuori dalla crisi, dovremo dirci che siamo già nei fatti in una repubblica presidenziale. Cosa aspettiamo ad adeguare finalmente le istituzioni?