Non conta il nome della tassa, conta quanto paghi

I facili entusiasmi post Imu

L’abolizione dell’Imu prima casa è certamente una vittoria politica di Silvio Berlusconi e dello stesso Enrico Letta che, in questo modo, allunga la vita al proprio governo. Altra cosa è la valutazione economica dell’abolizione, l’impatto sui bilanci delle famiglie italiane, su cui il giudizio per ora va sospeso visto che se ne capirà di più a metà ottobre, quando entrerà nel vivo la legge di stabilità, e verificheremo in cosa consista davvero questa benedetta Service tax.

Per ora quel che si può dire sono due cose. Uno. La copertura “ponte” necessaria a sospendere la rata di settembre senza lasciare all’asciutto i comuni arriverà un’altra volta soprattutto da nuove tasse (indirette) su gioco e scommesse. Insomma il solito vecchio andazzo. Due. Come confermato dal premier Letta, se l’abolizione sarà a disavanzo invariato (come impone l’Europa per restare sotto il rapporto 3% deficit/Pil), è scontato che l’erario ti chiederà con una mano, sotto altre vesti, ciò che ti toglie con l’altra. Nessun pasto sarà gratis. E qui si arriva al vero nodo: alla gente non interessa sotto quale etichetta paga le tasse, che si chiami Imu, Ici, Service Tax, Tares poco importa, conta la somma che esce a fine mese.

Veniamo da anni in cui le tasse locali e le addizionali sono esplose, nonostante cambiassero sempre di nome e nonostante si favoleggiasse dell’approdo federalista. Quella dopo era sempre cumulativamente più cara. Dal 1° gennaio 2014 saranno i sindaci a stabilire entità e modi di applicazione della Service Tax. Solo allora sapremo se l’abolizione dell’Imu è stata solo una finzione, un gioco delle tre carte per dare ossigeno ad un governo litigioso, oppure davvero un risparmio netto sul bilancio delle famiglie. Certo le premesse non sono incoraggianti…

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