Tre idee per impedire che il Tar affondi il Paese

I costi del non fare

Il presidente del Consiglio è alle prese con una caldissima non-pausa agostana. Il termometro dei rapporti di maggioranza s’impenna giorno dopo giorno, sull’agibilità politica di Berlusconi come su temi-bandiera per il Pdl, a cominciare dall’Imu. Un modo per uscire dalle tenaglie dei tumultuosi rapporti di maggioranza ci sarebbe, alzare il livello programmatico e operativo della compagine di governo, smentire chi l’accusa – sin qui, a piena ragione – di essere più di “lunghe attese” che di “larghe intese”.

LEGGI ANCHE: Così com’è la giustizia amministrativa blocca l’Italia

Per rilanciare l’economia, non c’è solo l’esigenza di un quadro pluriennale energico e credibile di abbattimento delle imposte su lavoro e imprese, con tagli di spesa altrettanto vigorosi. In questo quadro, una svolta profonda sul regime delle impugnative amministrative può e deve costituire una vera e propria priorità. E che partiti e dibattito pubblico diano poca attenzione alla questione, anche per i suoi delicati e complessi risvolti tecnici, potrebbe per una volta significare per il governo una facilitazione invece di un impedimento.

Il tema, rilanciato sul Messaggero dagli interventi di Romano Prodi e Paola Severino, rappresenta una vera e propria emergenza economica nazionale. Per averne una conferma nasometrica, basta formulare su Google una semplice ricerca, “ricorsi amministrativi ostacolo all’economia”: troverete elencati la bellezza di 3.970.000 casi. Da molti anni, in ogni report comparato dai maggiori fori internazionali sulle cause della scarsa attrattività dell’Italia per gli investimenti diretti esteri, l’incertezza amministrativa è in cima alle ragioni citate. Sono oltre 500, nel solo campo delle opere infrastrutturali, i progetti a vario titolo in tutta Italia rallentati o di fatto denegati, con iter temporali dagli 8 ai 12 e talora 15 anni e più.

Dal 2008 ad oggi, gli esperti della Agici Finanza d’Impresa elaborano ogni anno un rapporto sui “costi del non fare”, sommando con una metodologia rigorosa gli oneri economici di minor crescita dovuti al rallentamento e alla rinuncia a progetti stradali, ferroviari, energetici, idrici e di tlc. Nell’ultima edizione, proiettando lo stallo attuale senza una riforma decisa, siamo a oltre 380 miliardi di euro stimati dal 2010 ai tre lustri successivi. Ecco, di che cosa stiamo parlando.

Quando Prodi ha parlato di “abolizione dei Tar e del Consiglio di Stato”, ha deliberatamente voluto raccogliere l’espressione rozza e semplificatrice raccolta dagli imprenditori che hanno tutte le ragioni per essere esulcerati. Ovviamente, sono i giuristi a doversi confrontarsi sul tema. Purché lo facciano tenendo a mente che una svolta profonda è necessaria, per liberare l’economia e la crescita dalle troppe incertezze oggi rappresentate dalla pluralità di impugnative a tutti concessa in ogni grado d’avanzamento di ogni progetto, in un’intreccio senza eguali al mondo tra diritto civile, prerogative societarie ed economiche assunte dal pm e dal giudice penale, e infine pluralità di giurisdizione amministrativa tra Tar e Consiglio di Stato.

Tre semplici indirizzi potrebbero essere assunti dal governo come pilastri di una svolta energica. Il primo, senza neanche entrare nel vischio di una riforma ordinamentale sul complesso della giurisidizione, sarebbe già di suo rappresentato dall’abbracciare in materia di infrastrutture il modello del Débat Public francese, vigente e aggiornato ormai da 25 anni e garanzia sia di un esteso coinvolgimento dell’”ascolto pubblico” in relazione a ogni progetto infrastrutturale e d’impresa, sia però di tempi certi e stretti – 6 mesi – oltre i quali impugnative e ricorsi “all’italiana” nelle conferenze di servizio non sono più possibili, né si può riaprire ogni giorno l’eterno calvario italiano degli oneri accessori, che in regime di riduzione di trasferimenti pubblici dal centro alle Autonomie hanno finito per gravare ogni opera pubblica di un impossibile recupero di finanziamenti persi su altri tavoli. Segnaliamo che il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando ha preparato un mese fa un ddl che assume molti istituti del modello francese: sarebbe bene, una volta resolo ancor più efficace, farne una proposta centrale nell’operato governativo.

La seconda via è quella di una ponderata ma forte limitazione delle impugnative ammissibili sui progetti economici. Dove per “limitazione” va intesa non una compressione antidemocratica degli interessi legittimi coinvolti – questi devono avere solo tempi certi per esprimersi, e la non reiterabilità della loro rappresentazione giudiziale – quanto un intelligente accentramento delle competenze, secondo una logica di specializzazione presso le sezioni del Consiglio di Stato. Come il Titolo V° della Costituzione deve vedere il riaccentramento di competenze in materia di opere energetiche e infrastrutturali prioritarie e naziuonali, allo stesso modo dovrebbe avvenire per competenze e gradi del diritto amministrativo.

Infine, c’è un tema più esteso che s’inquadra in una riflessione ad ampio spettro sull’intero ordinamento giuridico italiano. Tanto per le competenze civili – su cui si è intervenuto con le sezioni speciali in materia di diritto d’impresa – quanto nel rito penale e a maggior ragione in quello amministrativo, va ripensato ab ovo il meccanismo delle garanzie personali, d’impresa e finanziarie per i soggetti economici che, oggi nel nostro Paese, si trovano esposti da soli e senza coperture alle conseguenze di defatiganti procedimenti di ogni ordine e grado. Il tempo è un fattore centrale per l’economia e per qualunque progetto d’impresa, perché è l’unità necessaria in cui si sconta il capitale, e si definisce il rendimento atteso di ciò che si mette in campo per prefiggersi un risultato.

Nel diritto italiano, il tempo oggi è invece una variabile indipendente. Ed è per questo, che in un numero sempre maggiore gruppi internazionali e imprese italiane impiegano in tempo e luoghi “stranieri” le loro risorse: lì il tempo, anche giuridicamente, è tutelato come da noi non avviene. Se il governo, com’è comprensibile, cerca più tempo per sé e per “fare”, inizi allora dalla riforma del diritto amministrativo, per dare tempo certo tutelato per far fare a tutti. 

Twitter: @OGiannino

X