All’inizio di questa settimana direttore di Newsnight ci ha ricordato, senza volerlo, che internet non sa tenere un segreto. Ian Katz, in un messaggio Twitter che credeva che fosse letto solo da lui e dal suo amico, ha definito la parlamentare Rachel Reeves (ospite del suo show) “una noia mortale”.
Non aveva tutti i torti. Ma il fatto di averlo twittato al mondo (tra cui la stessa Reeves) è una cosa che ha messo in imbarazzo lui e anche lei […].
Per non parlare di tutte quelle trappole di Twitter, o delle policy di privacy di Facebook, deliberatamente poco chiare. E quei tasti “Rispondi a tutti” e “Inoltra”? Internet, insomma, è una fabbrica di imbarazzo sociale. I social media ci cullano nella sensazione di parlare a un amico a una festa, quando in realtà stiamo gridando con un megafono.
Ma ogni volta che succede qualcosa del genere, diventa sempre più difficile lasciarsi cullare in questa illusione e Katz non userà più Twitter per spedire pettegolezzi. Come ogni altra persona, sta imparando che non esiste un mezzo di comunicazione elettronico che agisce in modo confidenziale.
Lezioni inevitabili: in primo luogo, abbiamo capito che siamo inclini a rovinare tutti i nostri protocolli comunicativi, come ha fatto Katz. Secondo, diversi scandali politici e aziendali ci hanno rivelato che “elimina” significa, in realtà, “salva finché non è ora di pubblicare”; cioè che anche i nostri sms possono essere rintracciati da altre persone molto tempo dopo che li abbiamo scordati. E terzo, sappiamo, adesso, che non solo i nostri capi possono leggere ogni email che mandiamo, ma anche i nostri governi. Il messaggio si sta interiorizzando: non scrivere niente che non vorresti vedere in apertura sul New York Times.
Bene. Lascerò ad altri la discussione su cosa internet significa per la libertà di parola. Io sono preoccupato per un’altra cosa: la libertà di fare gossip.
Il pettegolezzo si basa su una transazione che si può definire “tra me e te”. Le voci di corridoio si propagano come fuoco in popolazioni intere, e questo è il motivo per cui internet le dissemina così bene. Ma il gossip è, invece, una cosa intrinsecamente personale. Viene diffuso di persona in persona, o circola in piccoli gruppi.
Nel mondo online non esiste il “tra-me-e-te”. C’è solo il “tra me e chiunque stia ora leggendo o che potrebbe farlo, un giorno, in futuro”. Più realizziamo questa cosa, più resistiamo alla tentazione di diffondere informazioni. Ho notato che lo fanno anche i miei amici: al lavoro fanno meno battute salaci sui loro capi, cosa che costituiva il pilastro del divertimento di ogni giorno. Perfino accennare a una confidenza su una terza persona, in uno scambio email tra due persone è una cosa che sarà ignorata con facilità. O che, piuttosto, potrebbe suscitare una risposta formale e irrigidita.
Certo, il gossip non muore. Soprattutto nel mondo cosiddetto offline. Piuttosto che esprimere quello che pensano nelle email, è più semplice che, d’intesa con qualche cenno, si esca per fare una passeggiata fuori. Come se fossero in un film di spie di bassa qualità.
Ma anche in strada succede: è un continuo controllare il telefono perché, be’, abbiamo sentito tutti storie di chiamate accidentali e – di conseguenza – conversazioni intercettate da chi non doveva. Ma visto che il mondo offline si riduce sempre di più, il gossip si sta tingendo sempre più di paranoia.
Si potrebbe anche pensare che se il gossip in declino, allora è un bene. Forse sei una di quelle persone che, in silenzio ma con ostentazione, si ritrae da un gruppo nel momento in cui cominciano i pettegolezzi. È sen’altro una cosa deprecabile, il gossip, ingeneroso e spesso spiacevole. Tutti impariamo, fin da tenera età, che non c’è niente di bello nel parlare di persone assenti.