Ma ha senso fare una guerra in Siria così telefonata?

Taci, il nemico ti ascolta

La domanda è davvero da uomo della strada, a digiuno di qualsiasi nozione strategica e militare, però ci pare sensata. Sono venti giorni che si parla in mondovisione di un possibile/probabile attacco alla Siria: ne discutono in trasparenza i parlamenti dei paesi occidentali, i leader vanno in televisione un giorno sì e l’altro pure per spiegare, anticipare, dimostrare, pianificare. Gli organismi internazionali si attivano, si fissano date e poi si cambiano, si spiegano dettagli e che tipo di attacco sarà. Il tutto alla luce del sole. È il bello della democrazia, certamente. Tutto viene discusso e approvato perchè il consenso è (quasi) tutto. Però c’è anche un avversario da battere, se si decide di muovere guerra. Di qui la domanda da uomo della strada: è sensato raccontare urbi et orbi quel che si vuole fare sapendo che in tempo reale arriva ogni informazione ad Assad e a Damasco? Tanto più se sarà uno strike per distruggere o indebolire le postazioni difensive siriane, una punizione all’uso delle armi chimiche e non un’invasione di terra volta a rovesciare il regime, è probabile che tutto questo attendismo e questa trasparenza permetta nel frattempo ad Assad di prendere tutte le contromisure del caso. Spostare, nascondere, mimetizzare. O no?

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