La spaccatura tra Matteo Renzi e Massimo D’Alema sarà pure «insanabile», tra insulti e minacce di guerra. Resta il fatto che il sindaco di Firenze, probabile vincitore delle prossime primarie dell’8 dicembre si ritrova intorno tutta l’intellighenzia dalemiana della prima ora. Ci sono gli ormai storici “Lothar”, «quelli che hanno cura del loro cranio rasato» tanto simili al gigante amico di Mandrake, da Nicola Latorre a Claudio Velardi fino a Marco Minniti passando per Fabrizio Rondolino, ora in forza al quotidiano di area dem Europa.
E poi c’è l’ex governatore della Campania Antonio Bassolino, c’è il governatore della Liguria Claudio Burlando, c’è il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca. Quest’ultimo, che è anche viceministro alle Infrastrutture, è stato determinante per la vittoria di Renzi nel salernitano. «Un risultato bulgaro» dicono in via del Nazareno, perché nelle tre ‘circoscrizioni’ di Salerno città Renzi ha preso 2.566 Voti. Il suo principale rivale Gianni Cuperlo solo 50. Persino la Puglia di Fabiano Amati e Michele Pelillo è ora tutta schierata con l’ex rottamatore, che vince, soprattutto al Sud, insomma, grazie anche agli ex dalemiani. E c’è chi sostiene che «Max» sia così inviperito con «Matteo» proprio perché gli amici gli hanno voltato le spalle.
Eppure c’è un vecchio amico di D’Alema di nome Umberto Bossi, ex storico leader della Lega Nord, che da tempo immemore sui campi dell’ormai defunta Padania va ripetendo «di non credere mai a quello che vogliono raccontarci». Del resto, negli anni d’oro del dalemismo, si ripeteva spesso un vecchio refrain: «I dalemiani non esistono». Di questi tempi l’ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri è solito riprendersi la scena, anche stando fuori dal parlamento. Sarà perché è l’unico a tenere testa al frizzante primo cittadino di Firenze, sarà che quando c’è qualche casino nel Partito Democratico, vedasi il siluramento di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica, di mezzo c’è sempre quella maledetta «ombra di D’Alema».
Non a caso proprio «Romano» ha spiegato diverse volte che capì che non sarebbe diventato Capo dello Stato quando parlò proprio con Max, che in quei giorni di maggio si faceva immortalare a spasso con il cane per le strade di Roma. Persino nell’ultima vicenda Cancellieri, con il Pd ormai compatto per fermare la fiducia, gli spifferi dei palazzi hanno raccontato che il ministro di Grazia e Giustizia pare abbia chiamato proprio D’Alema per avere rassicurazioni sul voto. Insomma l’ex ministro degli Esteri sarà pure fuori dai giochi, solo in un angolo, ma le sue battaglie politiche sembra farsele, in barba a chi lo sostiene ormai irrilevante.
Un ex dalemiano della prima ora conferma che «la spaccatura tra i cosiddetti ex e D’Alema è ormai insanabile: parlano ancora con lui ma cercano di farlo ragionare quando vedono attacchi così pesanti contro Renzi». E Velardi, su The Fronte Page, sito di ex dalemiani per eccellenza, gli ha dedicato un post dal titolo “Invecchiare”, ricordando l’incontro tra un vecchio amico e l’attore Roberto Benigni, con il primo che riconosceva il successo all’altro e si domandava come sarebbero invecchiati. «Colui che aveva dato al famoso attore quel saggio consiglio ha fatto invece il contrario» si legge sul sito. «E’ restato sul campo di battaglia cercando nuovi riconoscimenti, facendo finte autocritiche, progettando rivincite. Ed oggi mena fendenti alla cieca, colpendo l’aria con rabbia crescente. Questa persona che conoscevo ora mi fa tristezza, perché penso che non stia invecchiando bene. Ne avrebbe il diritto, perché è una persona di valore. Ma non ha, dentro di sé, la necessaria serenità».
Sarà che manca la necessaria serenità, ma sta di fatto che D’Alema può contare ancora dentro il Pd – il candidato Gianni Cuperlo ha preso di più di quanto si pensasse – e soprattutto nel sistema di potere italiano. Lunedì prossimo a Milano farà il punto sulle infrastrutture insieme con Maurizio Lupi, il governatore lombardo Roberto Maroni e il presidente del fondo F2I Vito Gamberale. E proprio Gamberale ha accolto come presidente nella Aeroporti Firenze Spa, controllata da F2I, uno degli uomini più fidati di Renzi, quel Marco Carrai che in molti definiscono il Gianni Letta dell’ex rottamatore.
Il rapporto tra D’Alema e Renzi è sempre stato altalenante, tra ammiccamenti, incontri, chiarimenti e poi randellate senza fine. Tra i vecchi dirigenti del Pci italiano c’è il brutto vizio di ricorrere spesso alla storia e a tutti gli aneddoti legati alla guerra fredda. C’è chi sui rapporti Renzi-D’Alema azzarda il paragone col caso Gunter Guillaume, ex agente segreto tedesco della Stasi, emigrato negli anni ’50 nella Germania dell’Ovest come infiltrato nel sistema politico occidentale. Guillaume fu uno degli artefici del successo politico del cancelliere Willy Brandt, mostrando «acume politico e organizzativo». Peccato che lavorasse per la Germania dell’Est. Pippo Civati lo ripete ogni giorno: «D’Alema cerca l’accordo con Renzi, non vede l’ora». Che convenga anche all’ex rottamatore?