La vittoria di Pirro del generale Letta

Epifani: «Da oggi governo più debole»

Quella del presidente del Consiglio Enrico Letta rischia di diventare una vittoria di Pirro. Meglio, «una fiducia di Pirro» per citare l’intervento alla Camera del capogruppo berlusconiano Renato Brunetta. Il Parlamento respinge la mozione di sfiducia nei confronti del Guardasigilli Anna Maria Cancellieri e allontana il pericoloso spettro di un rimpasto di governo. Ma a fine giornata appare evidente come il successo potrà avere serie ripercussioni su Palazzo Chigi. 

Certo, l’esecutivo supera l’ostacolo. È il primo di una lunga serie, cui seguiranno in ordine cronologico la decadenza di Silvio Berlusconi e l’incognita della legge di Stabilità. Ma il voto alla Camera che conferma la fiducia al ministro della Giustizia sancisce l’avvio di una nuova fase politica all’interno della maggioranza. Allontana ulteriormente i berlusconiani, evidenzia i primi distinguo all’interno del Pd, rende finalmente visibile la tensione tra il presidente del Consiglio e il segretario democrat in pectore Matteo Renzi.

Forza Italia ormai sembra solo attendere la decadenza di Silvio Berlusconi dal Senato per sfilarsi dalle larghe intese. L’intervento a Montecitorio di Brunetta è un lungo attacco agli alleati del Partito democratico, ma soprattutto una critica senza sconti all’esecutivo. Le larghe intese sono messe sempre più a rischio dalle aspirazioni renziane, spiega il capogruppo. Il governo è sostenuto da un Pd ormai impegnato in una «danza macabra attorno a Letta». E così nonostante il convinto voto di fiducia nei confronti del Guardasigilli, i berlusconiani potrebbero presto uscire dalla maggioranza. Tra una settimana esatta Palazzo Madama voterà l’allontanamento del Cavaliere dal Parlamento, sarà allora con ogni probabilità che si consumerà lo strappo. In tempo per permettere a Forza Italia di passare all’opposizione e dare battaglia sulla legge di Stabilità (proprio domani il Consiglio dei ministri è impegnato a varare l’atteso decreto sull’Imu).

Ma il voto di oggi lascia aperta qualche ferita anche nel Partito democratico. Dopo la riunione di ieri sera, alla presenza di Letta, il gruppo parlamentare di Guglielmo Epifani conferma all’unanimità la fiducia al ministro. È una decisione sofferta. In molti si attengono alle disposizioni più per disciplina che per convinzione. Lo stesso segretario intervenendo in Aula non risparmia qualche nota polemica al Guardasigilli. Di fronte agli attacchi di questi giorni, le chiede di «impegnarsi con forza per rimuovere una parte di queste critiche», ma anche di «avere più attenzione nei confronti del tema delle carceri». E non è solo un problema di merito, se uscendo dall’emiciclo Epifani ammette ai cronisti in Transatlantico che da oggi «il governo è più debole». 

Del resto fino a ieri una parte dei parlamentari Pd era pronta a sfiduciare il ministro della Giustizia. Le spiegazioni di Anna Maria Cancellieri non hanno convinto tutti. Restano forti le perplessità dei renziani (ma anche il candidato alla segreteria Pippo Civati ha voluto mettere agli atti il suo disagio intervenendo in dissenso dal gruppo). E se alla fine si è deciso di confermare il sostegno al Guardasigilli è solo perché ieri sera Enrico Letta ha chiesto un voto di fiducia all’intero governo. Appoggio accordato, ma non convinto. Dopo aver più volte suggerito le dimissioni del ministro della Giustizia, Matteo Renzi si piega al volere del premier. Ma fino a quando accetterà di subire i diktat del presidente del Consiglio? È evidente che dopo l’8 dicembre – e la sua probabile elezione a segretario – i rapporti tra Partito democratico e governo cambieranno. 

Intanto su Palazzo Chigi si allunga l’ombra del Quirinale. Stando ai bene informati, la decisione di difendere fino all’ultimo il Guardasigilli sarebbe stata fortemente caldeggiata proprio dal Colle. Un pressing più o meno esplicito del presidente Giorgio Napolitano, per mettere il governo delle larghe intese al riparo da una crisi dagli esiti imprevedibili. Il dubbio di molti riguarda il ruolo di Enrico Letta. Senza la necessità di dover interpretare i desideri del Quirinale, chissà se avrebbe agito ugualmente. Accettando di buon grado le dimissioni del ministro della Giustizia, il premier avrebbe quantomeno evitato di aprire nuovi fronti di scontro all’interno della maggioranza. 

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