Un anno di Egomnia, tra critiche e progetti futuri

Intervista a Matteo Achilli

Lo avevano definito «lo Zuckerberg italiano». E di recente Fedele Confalonieri si è spinto fino a vedere in lui «il nuovo Silvio Berlusconi». Matteo Achilli, nonostante i paragoni, ha solo 21 anni. E al suo attivo ha, nel marzo 2012, la fondazione di Egomnia, un social network che fa incontrare domanda e offerta di lavoro dando un punteggio ai curriculum. Le aziende si scrivono da una parte, gli aspiranti lavoratori dall’altra. Egomnia li fa incontrare. 

L’anno scorso il giovane romano in poco tempo si era guadagnato le copertine dei settimanali, trovandosi a suo agio tra un’intervista e l’altra. Così si era attirato anche le critiche di blogger e startupper (“quanto se la tira” era il commento più frequente). Egomnia era stato definito “brutto” o addirittura “imbarazzante”. E in pochi erano pronti a scommettere sul lieto fine della startup.  

A distanza di un anno, Matteo presenta ora il conto lanciando una nuova versione «più professionale» del sito e snocciolando numeri e progetti di più di 365 giorni di lavoro e studio. Perché, nel frattempo, il piccolo Zuzckerberg dell’Eur studia anche Economia aziendale all’Università Bocconi di Milano. Dai libri alla pratica in azienda e viceversa. 

I numeri di follower di Egomnia su Facebook e Twitter, in realtà, non sono eclatanti: poco più di 5mila in tutto. Gli iscritti, però, hanno già raggiunto quota 200mila, racconta Matteo. Le aziende sono invece 630. E ci sono anche grandi nomi, come Bulgari ed Ericsson. Matteo ora è pronto a scommettere: «Vogliamo crescere ancora sia in Italia sia all’estero. Siamo pronti a diventare una multinazionale».

Matteo, com’è la nuova Egomnia?
La nuova Egomnia è stata riscritta da zero da 20 sviluppatori professionisti. È graficamente più accattivante, e ci sarà anche la versione per mobile e per tablet. Una versione che si avvicina almeno un po’ ai modelli dei grandi colossi americani. Tra le novità c’è lo “Skills Graph”, un pentagono che permette alle aziende di vedere visivamente le attitudini del candidato. 

Una risposta a chi aveva definito il sito “imbarazzante”?
Le critiche sul sito ci potevano stare: era un sito fatto da ragazzi, d’altronde c’era scritto “beta” a caratteri cubitali. Non abbiamo rilasciato mai nessuna versione definitiva. Era in mano agli utenti appunto per essere migliorato. I pochi soldi che avevo all’inizio sono stati investiti nello sviluppo, senza occuparmi della grafica. Ora la grafica è completamente rinnovata.

L’idea d’altronde era nata tra i banchi di scuola.
Sì, ho cominciato a lavorarci al liceo, nel 2011 a Roma, quando ho visto che i miei compagni di classe per scegliere l’università alla quale iscriversi guardavano molto alla posizione che gli atenei avevano nelle classifiche internazionali. Ho pensato che lo stesso ragionamento si potesse fare costruendo un ranking degli aspiranti lavoratori per essere appetibili per le aziende. Ma come fare a costruire questi ranking? Sarebbe stato difficile attribuire un punteggio ai curriculum se fossero stati gestiti nel loro formato più tradizionale, quindi abbiamo dato la possibilità di compilare il cv online in un form guidato. In questo modo il sistema prende in considerazione diverse variabili e l’algoritmo attribuisce un punteggio considerando non solo il lato accademico ma anche quello delle esperienze professionali precedenti. Si tiene conto in quanto tempo ci si laurea, delle lingue che si conoscono, e se ci si è laureati nelle prime dieci università italiane in classifica viene conferito un bonus aggiuntivo. Così riusciamo ad attribuire un punteggio. Questa ideai poi è stata anche brevettata sia in Italia sia negli Stati Uniti.

Dall’idea alla realizzazione pratica dell’azienda, cosa c’è in mezzo?
Ho iniziato a chiedere alle software house quanto costasse implementare il sistema. Mi chiedevano tutti intorno ai 100mila euro. Non avevo tutti questi soldi. Così ho iniziato a chiedere tra amici e parenti per trovare una via alternativa fino a quando ho trovato un ragazzo che ha sviluppato il portale per molti meno soldi. L’investimento iniziale è stato di circa 10mila euro. Ho coinvolto un neolaureato in informatica di Pisa, uno della Nuova accademia di belle arti di Milano (Naba, ndr) che si è occupato della parte grafica e un avvocato che mi ha aiutato sulla parte legale. Ma dopo un anno di lavoro mi sono reso conto che il sito era vuoto, non si era iscritto nessuno. Così ho cominciato a inviare email alle aziende chiedendo loro di iscriversi. Non ho ricevuto neanche una risposta.

Quindi cos’hai fatto?
Nel frattempo da Roma mi sono trasferito a Milano per studiare Economia aziendale alla Bocconi. Così mi sono rivolto al media center d’ateneo e al giornale degli studenti per promuovere il sito. Sono stato accolto a braccia aperte. Ho fissato appuntamenti con gli studenti che avevano un peso, come il rappresentante degli studenti, che per primo ne parlò proprio su Linkiesta. Dopo quell’articolo, lo sviluppatore mi chiamò al mattino presto quasi in lacrime dicendomi che si stavano iscrivendo cinque persone al minuto. In un mese abbiamo raggiunto 15mila iscritti e 100 aziende.

Da qui è cominciata l’esposizione mediatica, che ha generato tante critiche.
Era il periodo in cui Zuckerberg stava per quotarsi in Borsa Facebook e in cui si parlava della nuova riforma del lavoro Fornero. Sono finito sulla copertina di Panorama Economy, ed è lì che sono stato paragonato a Zuckerberg. Ho avuto i riflettori puntati su di me a 20 anni, quando non ero preparato. Non avevo un business plan, non avevo strategie. E non ho investito un euro in comunicazione. Di sicuro ho fatto qualche errore.

Come hai vissuto le critiche che sono arrivate?
Non le ho vissute bene, non avevo esperienza nel mondo della notorietà. All’inizio le critiche fanno male, poi ci si abitua. L’esposizione mediatica ha avuto per certi aspetti un effetto boomerang, che però nello stesso tempo mi ha permesso di firmare parecchi contratti. Certo c’erano alcune problematiche: la giovane età, i soldi erano pochi e c’era molta ingenuità. Le critiche però sono finite guarda caso quando ho cominciato a fare i soldi. Allora sui giornali era stata venduta la storia del ragazzino di 20 anni, non il prodotto in sé. È per questo che c’erano stati anche attacchi personali. Venivo visto come una persona alla quale veniva data giustamente un’opportunità. Nelle critiche c’era anche tanta invidia. Se si cerca su Google Matteo Achilli, come parole successive escono “raccomandato” e “figlio di”. L’idea in Italia è che se non sei amico di o figlio di non puoi fare belle cose. In America chi ce la fa viene lodato, in Italia vieni attaccato.

Hai cominciato a fare i soldi? Come?
Ho partecipato a Techcrunch, agli incontri di Confindustria, eventi che mi hanno permesso di aumentare il network. Nel frattempo gli iscritti sono arrivati a 200mila, le aziende iscritte sono 630, tra cui Bulgari, Ericsson, Calzedonia, Mediobanca. Ci sono anche piccole aziende, studi legali e commerciali. Il modello di business prevede due tronconi. Uno è quello business to consumer, che non porta a una monetizzazione vera e propria: l’Egomnia che vediamo tutti è gratuita e lo sarà per un po’ di tempo. Solo per le aziende offriamo dei servizi premium a pagamento. Ho iniziato poi a lavorare con gli enti locali, prima fra tutti la Provincia di Milano, creando il primo centro per l’impiego online. Stessa cosa poi abbiamo fatto con il Comune di Sassuolo e per alcuni sindacati come la Cisl, realizzando servizi di matching tra le aziende e le persone in mobilità. Abbiamo anche concesso il software in licenza d’uso a università, business school e società di headhunter. Il troncone business to business prevede invece soluzioni per le sezioni risorse umane delle aziende utilizzando lo stesso sistema di Egomnia. Sono software per la gestione del personale in modalità 2.0. I dipendenti in questo modo aggiornano sempre il cv in rete, in modo che l’azienda possa estrapolare le informazioni di cui necessita in poco tempo. Così valorizzo il personale che ho, utilizzandolo al meglio per determinati progetti; nello stesso tempo l’azienda informa i suoi dipendenti sulle posizioni aperte. È un sistema meritocratico perché sposto l’attenzione verso il dipendente, che è quindi libero di inserire le proprie informazioni. Sono soprattutto aziende mediograndi a usufruire di questi servizi. C’è molto spazio in questo mercato. Alcune aziende stanno già utilizzando questo sistema. Altre grandi hanno già espresso interesse e presto lo adotteranno.

Quanti soldi hai fatto quindi? Facciamo chiarezza.
Per il 2013 abbiamo firmato contratti intorno ai 500mila euro. E ora siamo in fase di chiusura di bilancio. Non ho fatto ancora alcun giro di investimenti. L’azienda è mia al 100 per cento. Diciamo che mi sono concentrato su come fare denaro, non su come avere denaro dagli altri.

Sono un bel po’ di soldini. Quante persone lavorano per Egomnia?
Le sedi di Egomnia si trovano tra Torino, Milano, Roma e Matera. A Matera c’è una sede operativa molto forte dal punto di vista tecnico ma non dal punto di vista commerciale. Formalmente Egomnia ha un solo dipendente. Gli altri 20 lavorano tramite body rental, che significa che pago i dipendenti dell’azienda che mi fornisce il servizio. Speriamo in futuro di poter fare nuove assunzioni. 

Quali sono i prossimi obiettivi di Egomnia?
Gli obiettivi ora sono consolidare il business aumentando il fatturato e trasformare Egomnia in una multinazionale. Quello che ci manca ancora è il management, ci siamo concentrati molto sullo sviluppo. Vogliamo aumentare gli iscritti in Italia e per farlo abbiamo creato la nuova piattaforma, che sarà accompagnata da una campagna di marketing con un cartone animato (qui) che in tre minuti racconta cos’è l’azienda. In più stiamo avviando un processo di internazionalizzazione. Abbiamo preparato un business plan, così comincerò a cercare investitori. Ma non aprirò il capitale italiano. Creerò delle newco per i mercati locali partecipate da Egomnia Italia. Primo obiettivo è il Brasile. Ho trovato una persona che farà il Matteo Achilli brasiliano. Solo in questo Paese, dove c’è un boom vero e proprio, farò un investimento mio.

Ma tutte queste cose le pensi da solo o c’è qualcuno che ti aiuta?
Le idee sono mie, poi ci sono legali e commercialisti che mi danno consigli. La maggior parte del team di Egomnia è fatto da giovani ma ci sono anche figure senior. Va bene essere giovani, ma serve anche qualcuno con esperienza. 
Inizialmente ho avuto problemi a esser preso seriamente perché ero giovane, ma anche perché nella mia testa ero giovane. In questo anno di lavoro sono cresciuto moltissimo. Gli incontri che ho fatto mi hanno fatto crescere. Sono riuscito a capire me stesso. Mi sono scoperto ad esempio abile a parlare in pubblico: più gente c’è più sono felice. Da deficit, quale prima era la mia giovane età, ora è diventata un pregio.

E nel frattempo ti tocca anche studiare. Riesci a conciliare?
Sono al terzo anno di economia aziendale alla Bocconi di Milano. Riesco a conciliare e a dare anche un aiuto alla mia famiglia, adesso l’università me la pago da solo.

Ma come vedi il mondo delle startup italiane di cui si parla tanto? C’è un futuro o è una bolla destinata a svanire?
L’Italia sta iniziando ora a comprendere il panorama delle startup. Anche mia nonna ora conosce la parola startup, il che è un buon segno. E anche la politica parla molto di startup. Esiste una comunità di startupper, i giornali ne parlano. Certo non metto la mano sul fuoco che andrà tutto a buon fine. Non serve imitare un modus operandi che non fa parte della nostra cultura, quello della facilità di avvio di una impresa. Certo sta nascendo un certo interesse. Ho conosciuto diversi startupper ma non partecipo agli eventi, non faccio parte di una comunità. Se emuli il modello di un altro Paese vai contro un muro. Io sono un po’ atipico in questo. Anche perché la mia non è una startup, ritengo che ormai sia un’azienda.