Funding for lending scheme (FLS) o QE, quantitative easing? Questo è il dilemma. O meglio, questa la scelta a disposizione di un regolatore come la Bank of England, che ha provato a iniettare fondi nell’economia reale attraverso un sistema bancario omogeneo, o comunque integrato. Purtroppo, non può essere (ancora) una scelta per la BCE, una banca centrale in attesa di un sistema bancario da regolare, e un sistema che è destinato a rimanere eterogeneo a lungo. Ciò non di meno, Mario Draghi nella sua conferenza stampa ha di fatto affermato che di FLS avrebbe bisogno anche l’area Euro, e se non si potrà fare, la BCE dovrà studiare dei buoni succedanei.
Nella scelta tra QE e FLS si intravede la versione moderna dell’eterna sfida tra money view e credit view nella trasmissione della politica monetaria, che abbiamo studiato a scuola. La differenza è la sofisticazione delle armi: il credit channel sta al funding for lending più o meno come l’archibugio sta ai missili intelligenti. Nello stesso modo, mentre la money view si riferiva all’immissione di liquidità nel sistema attraverso i canali tradizionali di creazione della base monetaria, il quantitative easing estende il confine di questo meccanismo di iniezione di liquidità con quelli che chiamiamo interventi “non convenzionali”. Ma sotto il profilo degli strumenti e degli obiettivi di politica monetaria, il dilemma tra money view e credit view è rimasto intatto. Abbandonando, come ha voluto fare Draghi, la terminologia militare, e utilizzando quella dell’assistenza medica, possiamo dire che iniettando moneta nel sistema, puoi aiutare un corpo debilitato a riacquistare un po’ di forze. Ma se lo vuoi far tornare a lavorare a pieno ritmo, e a correre, gli devi iniettare del ferro, e devi fare in modo che il ferro venga assorbito dall’organismo.
Il tema di iniettare risorse direttamente nelle vene dell’economia non è nuovo, ed è stato tentato con le tecniche più diverse, di tipo finanziario e non. Il punto è come vincere la reazione degli anticorpi e creare gli incentivi per far sì che i fondi iniettati arrivino a destinazione. Ricordiamo le tecnica non convenzionale, e un po’ casereccia, di Tremonti, dell’uso dei prefetti. Come dire: se non presti i soldi che presto, ti mando le guardie. Alla Banca d’Inghilterra hanno usato uno schema di incentivo più scontato: quello di fare uno sconto, appunto. Nell’agosto del 2012, la Banca d’Inghilterra ha proposto un meccanismo di iniezione “condizionale” della liquidità, cioè a condizione che la liquidità finisse nell’economia, basata su incentivi economici.
Lo schema funziona in maniera semplice. Alle banche che partecipano al sistema, viene dato un finanziamento iniziale pari al 5% del proprio portafoglio crediti. Se poi la banca nel periodo di riferimento, che originariamente doveva scadere a dicembre 2013, avesse aumentato l’ammontare netto di prestiti, avrebbe potuto avere finanziamenti dalla banca centrale fino alla stessa somma, a fronte ovviamente del deposito di collaterale. Ad esempio, una banca che a giugno 2012 aveva 100 miliardi di prestiti avrebbe avuto diritto a un finanziamento iniziale di 5 miliardi, e se i suoi prestiti fossero aumentati di 7 miliardi in più di quelli cessati, avrebbe potuto accedere alla fine a un totale di 12 miliardi di finanziamento. L’incentivo a prestare sta nel costo del finanziamento. Le banche che avessero espanso i prestiti avrebbero pagato 25 punti base (0,25%) l’anno per il finanziamento. Quelle che invece li avessero contratti fino a – 5%, avrebbero visto aumentare il costo dello 0,25% per ogni 1% di riduzione degli impieghi. Chi avesse ridotto i prestiti ancora di più avrebbe pagato l’1,50%. Il bastone e la carota, quindi. Se usi il 5% di prestito per sostituire prestiti, paghi l’1,50%, se invece aumenti gli impieghi paghi 0,25%, e puoi finanziare allo stesso tasso ogni crescita ulteriore degli impieghi.
Come è andata a finire? Ha funzionato? “Avvistata nave nemica, affondato camion”, come diceva Cary Grant in un vecchio film su un sottomarino rosa. Dopo un anno di programma, nell’agosto 2013, il Financial Times rilevava che questo aveva funzionato per i mutui, ma non per i finanziamenti alle piccole e medie imprese: il tasso medio sui mutui a 5 anni era sceso da 4,26% a 3,41%. Per i prestiti, il Guardian di pochi giorni fa (2 dicembre) riporta un solo caso di successo, quello di Nationwide, che avrebbe pompato 9,7 miliardi di sterline nell’economia. Ma è una mosca bianca. Lloyds e RBS hanno registrato una riduzione di 2,2 e 6,5 miliardi, Santander addirittura 12,5.
Cos’è andato male? Qualcosa che nessuno menziona è la possibile scarsità di collaterale. I mutui vengono tipicamente immediatamente cartolarizzati e la carta (o almeno la carta migliore) può venir portata come collaterale alla banca centrale: lo stesso non succede per i prestiti alle piccole e medie imprese. In altri casi le banche riportano che la contrazione è dovuta a cambiamenti della struttura dell’attivo, o a riduzioni della leva finanziaria da parte di grandi multinazionali. Pare quindi di concludere che il navigatore di questi missili intelligenti non sia abbastanza raffinato da distinguere il bersaglio. Sarebbe stato possibile condizionare la riduzione di costo all’aumento di una categoria particolare di attività (prestiti alle piccole imprese)? Probabilmente no. La Banca d’Inghilterra il 28 novembre ha scelto invece l’estensione del programma nel tempo e a nuove categorie di intermediari. Il programma è stato prorogato al 30 gennaio 2015, e possono accedervi gli intermediari non bancari (Non-Bank-Credit-Provider) che fanno parte di un gruppo bancario che partecipa al programma. D’altro lato tutti questi intermediari, sia quelli di gruppi bancari che altri, potranno essere destinatari di prestiti fatti sotto il programma. L’idea è: vediamo se tirando dentro le aziende di factoring, leasing e compagnia la cosa funziona meglio.
E veniamo alla domanda che ci interessa di più. Perché non lo può fare la BCE? La risposta è la mancanza di integrazione: delle economie, del sistema bancario, della regolamentazione. Quando la Banca d’Inghilterra introdusse il sistema FLS ne delimitò chiaramente il ruolo rispetto a interventi di QE. Quando intervenite a fronte di una crisi di domanda, immettete liquidità nel sistema, per aumentare la spesa interna, e un intervento di QE è l’ideale. L’intervento con FLS è invece diretto a ridurre i costi di finanziamento del sistema bancario: se pensate che da quello dipenda la crisi, l’FLS è lo strumento ideale. Mettetevi ora nei panni di Draghi e pensate di applicarlo nell’area Euro. La prima domanda sarebbe: è lo strumento appropriato per tutti? Cosa succede se nell’area euro ci sono paesi in crisi da domanda e paesi in cui invece il vero problema è il costo dei fondi per le banche? E se poi aveste un paese (ne conosco almeno uno) che ha avuto in dono entrambi questi problemi? In un mondo così eterogeneo, la politica monetaria di precisione della Banca d’Inghilterra, che già ha avuto problemi di “fine tuning” anche in un mercato integrato come quello britannico, porterebbe a risultati puramente casuali e imprevedibili.
E poi c’è un’altra importante fonte di eterogeneità. Anche se ci concentriamo solo sul costo dei fondi per il sistema bancario, lo stesso costo può nascondere fattori di rischio diversi. La ricognizione della BCE nei bilanci bancari (“comprehensive assessment”) ha del resto lo scopo di chiarire queste differenze. Nel caso italiano, il costo è chiaramente legato alla dipendenza del merito di credito delle banche dal rischio sovrano, a differenza di quanto avviene per le banche spagnole, il cui rischio è legato maggiormente ai problemi del mercato immobiliare. E allora, se l’esperienza inglese, con l’impatto sui mutui, può essere di lezione, possiamo prevedere che una politica di FLS da parte della BCE farebbe bene alla Spagna, e sarebbe inefficace in Italia. E, soprattutto, sarebbe probabilmente efficace in Germania, contribuendo ad accentuare la deriva delle due Europe.
Draghi ha però denunciato che lo stesso problema che ha condotto la Banca d’Inghilterra all’FLS esiste anche nell’area Euro; fare arrivare i fondi all’economia reale. Quali strumenti potrà utilizzare? Uno strumento possibile è quello di tassi negativi sui fondi tenuti dalle banche in BCE. Il bastone quindi c’è: se non investi, ti penalizzo. Manca la carota che porti i fondi delle banche verso l’economia reale, invece che verso i titoli di stato, come è avvenuto con l’LTRO. E qui, se seguiamo la logica, un FLS dell’area Euro pare che porti diritto dove Draghi non vuole andare, almeno per ora: la penalizzazione dell’investimento in titoli di stato.