Lavoro e occupazione, in particolare per i più giovani. Si gioca su questo tema l’ultimo confronto tra governo e Partito democratico. Meglio, fra il premier Enrico Letta e il segretario dem Matteo Renzi. Una contesa fatta di annunci e smentite, proposte e critiche. Da una parte il Job Act, il grande piano a cui sta lavorando la squadra renziana (così commentato da un esperto della materia come Pietro Ichino, ndr). Dall’altra l’azione dell’esecutivo. A partire dalle decisioni assunte dal Consiglio dei ministri del 27 dicembre, con la nuova ripartizione di circa 6 miliardi di euro di fondi strutturali europei.
È l’ennesimo provvedimento a sorpresa di Palazzo Chigi. Un intervento amministrativo – stavolta nessun decreto – che permetterà di utilizzare risorse strutturali che rischiavano di rimanere inutilizzate. Sei miliardi e duecento milioni di euro che nelle intenzioni del presidente Enrico Letta, oltre a sostenere le imprese e a contrastare la crescente povertà, dovranno creare nuovi posti di lavoro. In particolare, circa 150 milioni di euro saranno destinati alla decontribuzione dell’occupazione giovanile (lo scorso giugno il governo ne aveva già previsti 800 milioni). Altri 200 milioni saranno investiti per l’occupazione femminile e over-50. Misure che seguono la linea già tracciata dall’esecutivo. Stando alle parole del ministro del Lavoro Enrico Giovannini, negli ultimi cinque mesi questi interventi hanno permesso la creazione di 35mila posti di lavoro. Segno che la strategia disegnata a Palazzo Chigi, almeno a detta loro, è giusta, va solo perseguita.
L’azione del governo è complessa. Prevede aiuti alle imprese e alle famiglie a rischio povertà. Circa 350 milioni di euro, ad esempio, finanzieranno un programma di ricollocazione per i lavoratori disoccupati. Un intervento articolato, con l’obiettivo di creare lavoro e far crescere l’occupazione. «Incentivi ad assunzioni, garanzia giovani e riforma dei centri per impiego – spiega Giovannini in conferenza stampa – politiche attive e riforma degli ammortizzatori sociali, interventi sulla povertà e riforma della formazione professionale, il tutto armonizzato con la banca dati delle politiche attive partita a giugno: sono pezzi di un puzzle complessivo messo in campo da questo governo per fronteggiare la disoccupazione».
Del resto è sul tema dell’occupazione che l’esecutivo ha deciso di puntare. La strada scelta sembra quella giusta, assicura Giovannini. Quello che inizierà tra pochi giorni «dovrà essere l’anno del lavoro» auspica. «I segnali di ripresa che abbiamo dall’ultimo trimestre del 2013, indicano come ci sia la possibilità che la ripresa possa creare nuovi posti di lavoro. Dobbiamo rafforzare questa tendenza, e i segnali si cominciano a vedere». È su queste premesse che entra nel dibattito politico il Job Act di Matteo Renzi, il piano sul lavoro del segretario democrat.
Al documento stanno lavorando i responsabili Pd di Lavoro e Economia Marianna Madia e Filippo Taddei. Siamo ancora alle bozze, eppure le ricette del segretario Pd sono già finite al centro di diverse critiche. Anche dello stesso ministro Giovannini. Vicino al premier Letta – e non solo durante la conferenza stampa di Palazzo Chigi – solo pochi giorni fa l’ex presidente dell’Istat non ha risparmiato qualche frecciata al Job Act. Tra le perplessità del titolare del Lavoro l’ipotesi di contratto unico, ma anche la possibilità di escludere dalle tutele dell’articolo 18 i lavoratori neo assunti, almeno per i primi tre anni di contratto.
In realtà Giovannini non è l’unico ad avere dei dubbi. Il progetto del segretario democrat – tra le altre ricette c’è l’istituzione di un sussidio universale di disoccupazione – ha provocato una frattura all’interno del Partito democratico. A criticare pubblicamente il Job Act renziano è stata l’area più di sinistra del Pd. Guidati da Matteo Orfini, alcuni esponenti del partito hanno messo in discussione il piano di Renzi. Una ricetta anche giusta, in determinati interventi. Ma forse non sufficiente e non «in grado di ottenere i risultati richiesti». Fisiologico dibattito interno o, per dirla con qualche renziano, antipatica forma di critica preventiva?
A giudicare dalle premesse, il primo nodo che la maggioranza dovrà sbrogliare nel nuovo anno sarà proprio il tema dell’occupazione e del lavoro. Entro gennaio l’argomento dovrà essere discusso all’interno del contratto di governo. E non è escluso che il confronto finisca per aumentare la tensione tra il Pd di Renzi e l’esecutivo. Da una parte il rottamatore che punta a rompere lo schema “concertativo” novecentesco, dall’altra il tandem più istituzionale Letta-Giovannini che a rompere il triangolo con Cgil e Confindustria non ci pensa proprio. Raccontano che il rapporto tra premier e segretario sia stato messo in seria difficoltà dall’ultimo pasticcio sul decreto Salva-Roma. Un provvedimento presentato alle Camere dall’esecutivo nonostante le perplessità di Renzi, e ritirato tra le polemiche dopo il voto di fiducia a Montecitorio. Con buona pace di quel “gioco di squadra” evocato da Letta durante la recente conferenza di fine d’anno.