Non ci saranno vessilli nazionali né merli sulle loro maglie, a ricordare quella battaglia del “Campo del merlo” (Kosovo Polje) che nel 1389 vide i serbi respingere l’avanzata dell’Impero Ottomano. Non sentiranno nemmeno suonare l’inno, come accade con le altre squadre quando scendono in campo. Ma i kosovari avranno una nazionale, ben prima di un’indipendenza riconosciuta da tutto il mondo diplomatico. Potrà solo disputare alcune amichevoli internazionali, ma è già un primo passo.
Il Kosovo (da Kos, che in serbo vuol dire appunto “merlo”) verrà quindi rappresentato sui campi di calcio, ancor prima che la questione sulla sua indipendenza si sblocchi al tavolo dei membri del consiglio di sicurezza dell’Onu. Lo status giuridico del Kosovo, che ha dichiarato la propria indipendenza il 17 febbraio 2008, non è ugualmente condiviso. La repubblica di Pristina viene riconosciuta come Stato da 106 dei 193 paesi dell’Onu. Tra questi, 23 appartengono alla Ue; oltre a Stati Uniti d’America, Francia e Regno Unito, tutti membri permanenti del consiglio di sicurezza con diritto di veto. Il problema è che altri 51 stati membri sono contrari al riconoscimento: uno schieramento guidato da Russia e Cina, anch’essi membri permanenti del consiglio di sicurezza e quindi con diritto di veto.
E poi c’è la Serbia, che già da quel 17 febbraio si è sempre battuta nel non riconoscere governo e parlamento di Pristina. E ufficialmente, in Kosovo vige ancora la Risoluzione numero 1244 dell’Onu, che definisce il territorio kosovaro sotto sovranità serba. Eppure, proprio grazie al pallone gli angoli serbi si stanno smussando. Nel maggio del 2012, la Fifa aveva parlato di un primo riconoscimento della nazionale kosovara. Apriti cielo. A Belgrado non avevano gradito, tanto che il presidente del Governo del calcio europeo, Michel Platini, era intervenuto: «La decisione che è stata presa non è in linea con lo statuto dell’Uefa», spiegò. Da quando si è insediato in carica, Platini ha sempre imposto una regola per quanto riguarda l’iscrizione alla Uefa di nuove nazionali, che deve passare inderogabilmente prima attraverso il riconoscimento dell’Onu dello Stato sovrano.
Una scelta comprensibile, quella di Platini, applicata per evitare incidenti diplomatici tra federazioni calcistiche che possano debordare in veri e propri scontri fra Stati. Ma stavolta, lo scontro è stato evitato. Il presidente della federazione calcistica kosovara, Fadil Vokrri, ha intavolato un lungo lavoro diplomatico nei confronti del collega serbo Tomislav Karadzic. Ad aiutare Vokrri, diversi giocatori kosovari come il centrocampista del Napoli, Valon Behrami, e il laterale del Bayern Monaco Xherdan Shaqiri, che lo scorso settembre inviarono una lettera alla Fifa per avere riconosciuto «il diritto di giocatori e club del Kosovo di giocare a calcio a livello internazionale», perché questo avrebbe voluto dire «applicare i principi contenuti nello statuto della Fifa: giustizia, rispetto, non discriminazione, rifiuto di interferenze politiche e universalità del calcio».
La storia di Shaqiri, Behrami e dei compagni Granit Xhaka e Lorik Cana finì addirittura sul New York Times, che raccontò l’origine di quella lettera con destinatario il capo della Fifa Sepp Blatter. Una lettera nata a ridosso del match di qualificazione ai Mondiali del 2014 tra Svizzera e Albania a Lucerna, giocato l’11 settembre 2012. Tutti i giocatori in questione sono kosovari di origine albanese, ma costretti a giocare con la Svizzera, Paese che li ha accolti anni fa durante la diaspora dei kosovari dalla propria terra, durante la guerra dei Balcani. Un destino condiviso con un sesto della popolazione kosovara, andata via per sfuggire ai rastrellamenti e alle pulizie etniche dei serbi contro gli albanesi.
Shaqiri scese in campo con una particolare scarpa da calcio che raffigurava tre bandiere: quella Svizzera, quella albanese e quella kosovara. Davanti a un pubblico per due terzi albanese e kosovaro, la Svizzera vinse 3-1, ma la questione del Kosovo indipendente almeno nel calcio era aperta. E dopo la mediazione di Vokrri, la Serbia almeno dal punto di vista del calcio si è ammorbidita, tanto che la Fifa lo scorso 13 gennaio si è riunita in commissione deliberando di fatto la nascita della nazionale di calcio kosovara: «In seguito a una serie di incontri che hanno avuto luogo a partire dal 2012, la Fifa ha stabilito una serie di modalità per le partite che coinvolgono squadre di club e rappresentative nazionali del Kosovo».
La Fifa ha però imposto alcuni paletti. Il Kosovo non potrà esibire sulla propria casacca simboli nazionali come bandiere o stemmi nazionali; così come i giocatori kosovari non potranno sentire l’inno nazionale. Inoltre, la nazionale non potrà giocare contro le rappresentanti dell’ex Jugoslavia. La stessa federcalcio serba, inoltre, dovrà essere sempre informata delle amichevoli internazionali kosovare. E no, non vedremo il Kosovo ai Mondiali o agli Europei: per il momento, solo amichevoli. Ma per Pristina è un successo diplomatico, considerato che fino a nemmeno un anno e mezzo fa tutto questo non sarebbe stato possibile. Lo sa anche il capo del governo kosovaro, Hashim Thaci, che dalla propria pagina Facebook ha così festeggiato: «La mia speranza è che presto la Federcalcio del Kosovo sia un membro a tutti gli effetti della Uefa e della Fifa e che le limitazioni di oggi non esistano più».
Il futuro della nazionale kosovara passa dai riconoscimenti intrecciati di Fifa, Uefa e Onu. Per la prima, basterebbe già la Corte Internazionale di Giustizia, che nel 2010 ha stabilito che la dichiarazione d’indipendenza del 2008 del Kosovo non ha infranto il Diritto Internazionale e nemmeno la risoluzione 1244 dell’Onu, la cui validità è stata riconfermata. Secondo la Fifa, infatti, si intende come Paese «Qualsiasi stato riconosciuto dalla comunità internazionale». Per la Uefa, tale riconoscimento deve passare attraverso l’approvazione unanime dell’Onu. Lo ha confermato lo stesso Platini al quotidiano kosovaro Koha Ditore: «Il Kosovo sarà accettato nella Uefa e nella Fifa, associazioni calcistiche europea la prima e mondiale la seconda, solo dopo essere diventato un membro a pieno titolo delle Nazioni Unite».