La mannaia dell’Italicum non risparmia neppure la Lega

Il testo di legge elettorale Pd-Fi-Ncd

Ecco l’Italicum. Depositato il testo della legge elettorale. Anche il Nuovo centro destra di Alfano sottoscrive. A rischio l’ingresso in Parlamento della Lega. Collegi plurinominali da tre a sei candidati, senza voto di preferenza. Premio di maggioranza di 340 seggi per chi vince al primo turno o 327 per chi vince al ballottaggio. Alternanza di genere nelle candidature. Soglie di sbarramento al 12% per le coalizioni e dell’8% per le liste singole.

Non sarà una passeggiata, è evidente. Neanche il tempo di approdare in Parlamento e sulla nuova legge elettorale è già scontro. Il testo base della riforma arriva in commissione Affari costituzionali in serata, dopo una giornata di ritardi e misteri. Secondo i piani il provvedimento doveva essere presentato alle 14, ma viene depositato quando sono quasi le 21. Intanto nei corridoi della Camera il pomeriggio scorre tra preoccupazioni, indiscrezioni e relative smentite. Ad agitare gli animi è il presunto comma Salva Lega. Un piccolo dispositivo – sembra fortemente caldeggiato dal Cavaliere per tutelare lo storico alleato – pensato per tutelare i movimenti più radicati sul territorio. Insomma, il Carroccio. Il Partito democratico si impunta, la trattativa rischia quasi di saltare. In serata la discussa norma viene cancellata dal testo, non senza una lunga serie di polemiche.  

Ma la prima giornata parlamentare dell’Italicum è scandita anche da una serie di ritardi “tecnici”. Fino a poco prima di depositare il testo, alla Camera si discute ancora sulla ripartizione dei collegi. Qualcuno è convinto che il compito di disegnare le circoscrizioni spetti al Viminale, non tutti sono d’accordo. In commissione qualcuno polemizza sui reali autori del provvedimento. «Il testo della riforma non lo sta scrivendo il relatore Francesco Paolo Sisto – si lamenta al quarto piano del Palazzo l’ex coordinatore Pdl Ignazio La Russa -, ma qualcun altro che è fuori da qui». Indiscrezioni, retroscena. Nel frattempo i deputati democrat della I commissione si incontrano nella sala Bruno Salvadori di Montecitorio per concordare una posizione unitaria. Matteo Renzi segue la situazione in costante aggiornamento. 

Intanto, si inizia a ragionare su un testo. E dopo tanti ritardi sulla legge elettorale non è poco. A sottoscrivere la proposta di legge sono Forza Italia, Partito democratico e Nuovo centrodestra. Trovato un accordo di massima, maggioranza e opposizione cominciano a discutere nel merito. Al centro del confronto c’è l’introduzione dei listini bloccati fino a un massimo di sei candidati, anzitutto. Ma anche l’asticella del 35 per cento per ottenere il premio di maggioranza e le soglie di sbarramento per i partiti più piccoli che molti considerano irraggiungibili. È su questi tre passaggi che nelle prossime ore i gruppi parlamentari consumeranno uno scontro a colpi di emendamenti e voti segreti.

Quote rosa con giallo. La legge elettorale obbliga i partiti a presentare in ogni lista il 50 per cento di candidati di sesso femminile. Una scelta di merito. Eppure il comma 9 del primo articolo prevede che «nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali non possono esservi più di due candidati consecutivi del medesimo genere». A conti fatti, i primi due candidati in lista possono tranquillamente essere uomini. «Peccato – raccontano in commissione – che in collegi così piccoli spesso passeranno solo i primi due, e il vincolo della parità di genere sarà facilmente aggirato».

Scompaiono le candidature multiple. La nuova legge elettorale – almeno nel suo testo base – dice addio ai capolista onnipresenti. Dalla prossima tornata elettorale «nessun candidato può essere incluso in liste con il medesimo contrassegno o con diversi contrassegni in diversi contrassegni in più di un collegio plurinominale». Una novità non banale. Ogni candidato dovrà preventivamente scegliere dove candidarsi, nessuno potrà lasciare il seggio a chi lo segue in lista. 

Nell’Italicum non ci sono voti di preferenza, come annunciato. Piuttosto la “riconoscibilità” dei candidati richiesta dalla Corte Costituzionale sarà garantita da collegi di dimensioni ridotte e corte liste bloccate. Ecco allora che il testo base della legge elettorale indica il numero di candidati eletti in ogni collegio. Saranno da tre a un massimo di sei.

Confermate tutte le indiscrezioni della vigilia sulle soglie. Il testo base della legge elettorale prevede un premio di maggioranza del 18 per cento a chi conquista il 35 per cento di voti validi «del totale nazionale». Se nessun partito o coalizione raggiungerà l’asticella, si va al secondo turno. A quel punto però non saranno consentiti ulteriori apparentamenti rispetto al primo turno. Piccola differenza: chi conquista il premio di maggioranza al primo turno potrà contare su 340 seggi alla Camera. Chi vince al ballottaggio se ne vedrà assegnare 327. 

Restano valide anche le altre soglie di sbarramento. Il 12 per cento per ogni coalizione e l’8 per cento per le liste che decidono di presentarsi senza apparentamenti. All’interno di ogni coalizione, poi, per poter entrare in Parlamento i singoli partiti dovranno raggiungere almeno il 5 per cento dei voti. È un nodo centrale, su cui il passaggio alle Camere potrebbe non essere indolore. Con una soglia di questo tipo, i movimenti minori rischiano di sparire dalla scena politica. Dalla Lega Nord a Sinistra Ecologia e Libertà, passanti per i Popolari e Scelta Civica. 

Salta la discussa norma Salva Lega, si diceva. La legge elettorale introduce però una piccola tutela per le minoranze linguistiche. Per quelle liste, presentate unicamente nei collegi di regioni a statuto speciale, basterà conseguire «almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nel complesso dei collegi plurinominali della regione» per accedere in Parlamento. 

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