Quando stamattina ho letto il suo sfogo, quasi non ci volevo credere. Il governo ritira il decreto Salva Roma? «E io da domenica blocco la città». Ho fatto un respiro profondo e ho riletto la minaccia. Poi l’ho letta un’altra volta. Solo allora sono rimasto a bocca aperta per lo stupore. E mi sono permesso, caro Ignazio Marino, di scriverle una piccola lettera. Sindaco, non farà mica sul serio? Una provocazione sulle spalle dei romani? È troppo facile così. Se Palazzo Chigi ha ritirato il decreto, lei si dimetta. È un gesto forte, vedrà che avrà il giusto risalto. E per quello che può contare, anche tutta la mia stima personale.
Invece per non correre il rischio di bloccare la città, blocca la città. Ma che è, una ripicca da terza elementare? Ha perso la pazienza, questo è evidente. «Le persone dovranno attrezzarsi – dice – Fortunati i politici del Palazzo che hanno le autoblù, loro potranno continuare a girare, i romani invece no». Caro sindaco Marino, sempre parlando di pazienza, si è mai chiesto quanta ne hanno già persa i suoi concittadini? Lei minaccia di bloccare la città. Ma non si è accorto che la città è ferma già da un pezzo? Roma è immobile. Una statua.
Non saprei descrivere diversamente le giornate passate a casa per il maltempo. Bloccato, io sì, sotto la pioggia. Già, perché chi scrive abita in uno dei quartieri recentemente colpiti dalla grave alluvione (ma forse sarebbe stato solo un acquazzone, se tombini e scarichi fognari avessero funzionato come dovevano). In alcune zone di Roma le persone sono state tratte in salvo con le barche, non le sembra una città abbastanza bloccata? Non è ferma una città dove non si è liberi di girare in sicurezza? Non parlo di scippi e violenza, che per quello servirebbe una lettera a parte. Le ha viste le nostre strade, sindaco? Roma sembra appena uscita da un bombardamento aereo. Sull’asfalto non ci sono buche, ma crateri. Ho letto da qualche parte che una nota casa automobilistica giapponese viene appositamente a Roma per testare le sospensioni dei suoi prototipi. Eravamo una Capitale, siamo diventati un crash test.
Caro sindaco, lo so. Quando si scrivono queste lettere la deriva populista è sempre dietro l’angolo. Stavolta me ne frego, sempre parlando con rispetto. Perché lei eredita i problemi della gestione precedente, perché Roma è una città che ha difficoltà millenarie come la sua storia, perché in fin dei conti il sindaco non ha tutti questi poteri…. Niente di personale, Ignazio Marino. Ma almeno eviti di mettere ulteriormente in mezzo i romani. Da domenica vuole bloccare gli autobus? Guardi che i mezzi di trasporto sono praticamente già inutilizzabili. Abbiamo una linea metropolitana imbarazzante. La limitata estensione della rete fa il pari solo con la scarsa pulizia delle stazioni. Gli autobus anche peggio, mi limito ad ammirare il coraggio di chi per necessità è costretto a servirsene quotidianamente.
Un paio di giorni fa, invitato da una nota trasmissione radiofonica a darsi un voto per i primi mesi in Campidoglio, si è assegnato un bel 7 +. «Ho chiuso la discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa». Tanto di cappello sindaco, davvero. Peccato che a Natale eravamo sommersi dai rifiuti. Per una giornata siamo tornati indietro al medioevo. Se le ricorda le fotografie dei maiali che grufolavano tra i cassonetti? Sembrava un paese del terzo mondo, era la Capitale d’Italia. Ma lei si è ridotto lo stipendio del 10 per cento. Lavora tra le 16 e le 17 ore al giorno dice, e io le credo. Ovviamente non è sua la responsabilità di tutto quello che non funziona a Roma. Ma forse se leggerà la lettera fino in fondo la prossima volta ci penserà due volte prima di minacciare il governo sulle spalle dei romani.
Lei vuole bloccare la città e non si è accorto che la città è già ferma. Immobilizzata dai cartelloni abusivi che coprono i muri. Dal degrado e dalla sporcizia. Assediata dai camion bar che rovinano i monumenti più belli e dai tavolini selvaggi che occupano le piazze che il mondo ci invidia. Caro sindaco, mia moglie è straniera. Ogni volta che i genitori vengono a trovarci mi chiedono: «Perché è così sporco qui?». Che ci creda o no, ho finito le giustificazioni. In rete c’è un sito davvero interessante, si chiama romafaschifo.com. Il nome dice tutto: ci faccia un salto ogni tanto, le offrirà spunti quasi infiniti per i suoi prossimi interventi.
Bella l’idea di pedonalizzare i Fori romani. Lo dico davvero. Ma a nove mesi dal suo ingresso in Campidoglio non è arrivato il momento di fare qualcos’altro per la viabilità cittadina? Sarò pedante sindaco, mi permetto di continuare un altro po’. Le ricordo la città bloccata da cantieri infiniti e da quartieri periferici lasciati al loro destino. Da case popolari che non possono essere assegnate a chi ne avrebbe il diritto e da onnipresenti bancarelle ambulanti che manco al mercato di Marrakech (con tutto il rispetto per la bella città marocchina).
Adesso lei si arrabbia con Matteo Renzi. E magari ha pure ragione. Chiama Palazzo Chigi, chiede chiarimenti sul decreto ritirato che dovrà essere ripresentato per la terza volta. Fa sapere, e la ringrazio di questo, che «non abbiamo chiesto un solo euro allo Stato, il Salva Roma ci fa semplicemente recuperare risorse già versate come prestito alla gestione commissariale utilizzando le tasse dei romani». Benissimo, bravo. Ma allora perché quell’ultimatum? «Se Roma fallirà non ho intenzione di metterci la faccia» dice. E che ce la dobbiamo mettere noi, la faccia?
Al termine della seconda guerra mondiale, su un muro di Trastevere qualcuno scrisse con la vernice: «Annatevene tutti, lassatece piagne da soli». Ecco sindaco, dia retta. Minacci le sue dimissioni, prenda a parolacce il presidente del Consiglio, organizzi una bella manifestazione di piazza. Ma i romani, li lasci perdere. Hanno già tanti problemi a cui pensare.