Il torbido intreccio tra think tank e manager di Stato

Finanziamento ai partiti

«Colleghi, questo sistema non va bene». La vicepresidente del Senato Linda Lanzillotta non ci gira troppo attorno. Palazzo Madama sta votando il decreto che abolirà i finanziamenti pubblici alla politica. La parlamentare montiana prende la parola per presentare il suo emendamento e va dritta al punto. «Siamo rigorosi nel finanziamento ai partiti – spiega in Aula – ma poi lasciamo alcune zone d’ombra che creano circuiti non virtuosi tra la politica e l’economia». 

Probabilmente non ha tutti i torti. In nome della trasparenza il governo ha deciso di rivedere la disciplina dei finanziamenti pubblici ai partiti tradizionali. Ma sembra aver dimenticato think tank e associazioni direttamente riconducibili a parlamentari e politici. Eppure non si tratta di una realtà secondaria. «Riguarda – continua la senatrice Lanzillotta – tutta quella rete di associazioni, istituzioni e fondazioni che a livello nazionale, regionale e locale contribuiscono in modo sempre più intenso ad elaborare politiche pubbliche». Sigle note e meno note. Più o meno attive. Punti di riferimento evidenti di singole personalità e gruppi politici di ogni colore. Quasi sempre «luoghi in cui si realizza quel sistema relazionale che è anche uno degli elementi costitutivi del sistema politico, economico e finanziario del nostro Paese». 

La proposta di modifica presentata da Linda Lanzillotta nasce proprio in questo contesto. E vieta a società e aziende partecipate dallo Stato, dalle Regioni o dagli enti locali di contribuire economicamente a queste realtà. Del resto, «non si vede per quale motivo istituzioni pubbliche debbano finanziare l’attività politica di singole personalità». La senatrice montiana ne fa una questione di trasparenza. L’emendamento specifica i soggetti che non potranno ricevere i finanziamenti: si tratta di «istituzioni, fondazioni e associazioni che abbiano come scopo sociale l’elaborazione di politiche pubbliche e che siano presiedute o dirette da personalità che siano membri di organi di governo o di assemblee elettive locali, regionali, nazionali o europee o che lo siano stati nei dieci anni precedenti».

La Lanzillotta non vuole bloccare i think tank. Anzi. Intervenendo in Aula ne riconosce l’importante «opera di elaborazione, crescita culturale e immissione di idee nelle istituzioni». Piuttosto punta a spezzare «il legame perverso» tra politica ed economia. Il cortocircuito è spesso dietro l’angolo. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: «Cari colleghi – continua la senatrice – siamo alla vigilia di una tornata di nomine pubbliche  e gran parte delle istituzioni coinvolte, soprattutto quelle a livello nazionale, sono finanziate da Eni, Enel, Ferrovie dello Stato, Poste e Finmeccanica, nonché dalle grandi concessionarie come Autostrade».

L’emendamento dell’esponente di Scelta Civica prende in considerazione anche beneficiari diretti delle decisioni del Palazzo. I manager, dirigenti e amministratori nominati dalla politica. Nella seconda parte, la proposta di modifica estende il divieto di finanziamenti anche a loro: i responsabili «di enti, aziende, società e altre istituzioni sulla cui nomina abbiano poteri di influenza organi di governo o assemblee elettive locali, regionali o nazionali». 

Progetto meritorio, insomma. Ma senza successo. Questa mattina, dopo una notte di riflessione, la relatrice del finanziamento pubblico ai partiti Isabella De Monte (Pd) ha chiesto il ritiro della proposta di modifica. Esprimendo altrimenti parere contrario (il governo ha espresso la stessa posizione). Risultato: il progetto della sentrice Lanzillotta è stato bocciato dal Senato. 145 i voti contrari, 90 quelli a favore. Tra questi un asse inedito, ma a conti fatti inutile, tra Scelta Civica, Sinistra Ecologia e Libertà, Popolari per l’Italia, Movimento Cinque Stelle.

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