Una media di quattordici al mese, da dodici anni. Alluvioni, frane, inondazioni. Tra il 2002 e il 2014 sono state 1.985 le calamità naturali che si sono abbattute sul territorio italiano, quasi 300 le vittime. Ma non chiamatela emergenza, perché i dati sono noti da tempo: l’82% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico e sono quasi 6 milioni coloro che vivono in zone ad alto rischio.
È l’Italia instabile fotografata da #dissestoitalia, la prima grande inchiesta multimediale realizzata dal team di giornalisti di Next New Media con la collaborazione dell’Ance (Associazione nazionale dei costruttori edili), del Consiglio nazionale degli architetti, di Legambiente e del Consiglio nazionale dei geologi. Dati che si sommano a quelli sui terremoti, dieci in poco più di 100 anni, in un Paese dove 21,8 milioni di persone convivono con il rischio sismico.
Eventi che, oltre a provocare migliaia di vittime, hanno un costo altissimo dal punto di vista economico. Secondo l’ultimo rapporto Ance/Cresme, dal 1944 al 2012 sono stati spesi 242,5 miliardi di euro, ovvero 3,5 all’anno, per ripianare i danni causati da terremoti, frane e alluvioni. Aiuti di Stato, concessi a enti locali e cittadini, che non bastano a ripianare le perdite, oppure arrivano con enorme ritardo. Uno degli ultimi casi, in ordine di tempo, è quello della Sardegna. L’alluvione del 18 novembre 2013 ha provocato danni per 652 milioni di euro ma per ora sono arrivati solo i 20 milioni stanziati dal Dipartimento nazionale della Protezione Civile nei giorni immediatamente successivi all’emergenza. Stessa storia per l’alluvione nel modenese di gennaio 2014. I danni sono stati tanti ma, per stessa ammissione del capo della Protezione civile Franco Gabrielli, al 26 gennaio 2014 i fondi a disposizione per le emergenze sono già esauriti.
«Sono costi che lo Stato Italiano non riesce a reggere», spiega Antonio Coviello, ricercatore dell’Istituto di ricerche sulle attività terziarie (Irat) del Cnr e professore di Economia alla Seconda università degli studi di Napoli. E i casi di mancata ricostruzione sono sotto gli occhi di tutti: non solo L’Aquila, «ma anche aree colpite da alluvioni e terremoti 20, 30 anni fa. Uno su tutti il comune di Laviano, in provincia di Salerno. Fu raso al suolo dal terremoto dell’Irpinia del 1980. Sono passati 34 anni e la ricostruzione non è ancora terminata, nonostante siano stati stanziati molti fondi». Eppure, continua Coviello, autore del volume Calamità naturali e coperture assicurative, la soluzione c’è ed è rodata da decenni: istituire per legge l’assicurazione obbligatoria su case e fabbricati privati contro i danni causati da calamità naturali. Una realtà in Svizzera, Belgio, Francia, Inghilterra, Turchia ma anche nei Paesi caraibici o in Romania. In Italia è impossibile farlo, anche volontariamente, perché le compagnie assicuratrici non stipulano polizze in zone ad alto rischio, quindi su tutto il territorio nazionale. La stessa Lloyd’s ha analizzato il caso italiano, dato che il Belpaese risulta il secondo in Europa per rischio sismico e il sesto per quello idrogeologico, e già nel 2010 aveva definito la decisione sulla questione “improcrastinabile”. Nel 2012 il governo Monti aveva tentato di introdurre la polizza obbligatoria nel dl 59/2012 sulla riforma della Protezione civile, ma il provvedimento non venne poi convertito in legge.
Dal 21 febbraio scorso si sta tentando un’altra via, quella della raccolta firme:sul sito Firmiamo.it è comparsa infatti la petizione “Assicuriamo le catastrofi naturali”, indirizzata al premier Matteo Renzi e ad Aldo Minucci, presidente dell’Ania (Associazione nazionale imprese assicuratrici), che ha già raccolto oltre 3.800 firme sulle 5.000 richieste.
«Si potrebbe pensare a un sistema misto pubblico-privato diviso in vari step», spiega Coviello, «l’auto-assicurazione, con la quale il cittadino accetterebbe di sobbarcarsi i piccoli danni fino a 1.000 euro, a questo punto entrerebbero in gioco le assicurazioni, che coprirebbero il valore intero dell’immobile. Alle infrastrutture pubbliche penserebbe invece lo Stato». Che può tutelarsi da una spesa eccessiva affidandosi a compagnie di riassicurazione come la Lloyd’s. In pratica “assicurazioni sulle assicurazioni” che intervengono in caso di grandi eventi catastrofici. «Il rischio di calamità infatti non è limitato all’Italia: è stato calcolato che su cinque eventi naturali che potrebbero abbattersi sull’Europa in media uno sarà distruttivo. Se ogni Stato si assicurasse contro questa possibilità il prezzo diminuirebbe per tutti e ci sarebbero fondi immediati per la ricostruzione», aggiunge Coviello.
È pur vero che solo a sentir parlare di una nuova tassa viene a tutti l’orticaria. Secondo il calcolo di Ania, per assicurare un’abitazione di circa 100 metri quadri ci vorrebbero tra i 100 e i 150 euro all’anno a famiglia. Un costo in più? «Assolutamente no», spiega il ricercatore, «perché le ricostruzioni gravano già sui cittadini, in forma di tasse una tantum o di accise sui carburanti. Per questo abbiamo la benzina più costosa del mondo. In più non si sa mai per cosa vengano utilizzati veramente i soldi. Una certezza invece c’è: quella dei tempi biblici per i risarcimenti a cittadini e imprese».
Per far funzionare il tutto è comunque indispensabile il controllo da parte dello Stato, che deve obbligare le compagnie ad assicurare tutti e impedire che la polizza sulla casa costi di più a seconda delle zone maggiormente a rischio. «Il prezzo deve essere uguale per tutti, proprio come avviene in Francia».
La prima resistenza da vincere è quella dei cittadini. Dopo lo scandalo Rc Auto, che in 10 anni ha aumentato del 98 per cento le tariffe nonostante il numero di incidenti sia diminuito, non c’è da dormire sonni tranquilli. «Per questo lo Stato deve fare da garante, ma anche incentivare a sottoscrivere le polizze prevedendo sgravi fiscali per i cittadini».
Se mai ce ne fosse bisogno, l’intercettazione tra l’ex assessore comunale di L’Aquila Ermanno Lisi e l’architetto Pio Ciccone offre un reminder di quanto la questione sia importante. Nella telefonata del 30 novembre 2010, 18 mesi dopo il sisma che ha ucciso 309 persone e cancellato il centro storico della città, i due definiscono il terremoto «un colpo di culo», pensando ai fondi statali in arrivo per la ricostruzione. «In questo frangente, con tutte ‘ste opere che ci stanno, tu ci sta pure in mezzo, allora, farsele scappà mo’ è da fessi… è l’ultima battuta della vita… o te fai gli soldi mo’…». «O hai finito», continua Ciccone.
Forse ora c’è l’occasione per far sì che quelli “finiti” siano solo loro e non i cittadini italiani.