Apologia di SocrateGiusto abolire il Senato, i problemi sono nell’Italicum

Le riforme difficili

Il presidente del consiglio presenta la propria proposta di riforma del Senato e mentre si coalizzano strane alleanze in difesa della democrazia, val la pena provare a ad analizzare l’approccio di Renzi alla riforme con un metodo che, se non è pienamente economico, può definirsi almeno “quasi -economico” perché prova ad applicare il raffronto tra costi e benefici a grandezze non obbiettivamente misurabili e pertanto introduce una non trascurabile componente di arbitrarietà.

Il primo aspetto che balza all’occhio è il tentativo di applicare una sorta di leva operativa ossia di sfruttare più intensamente rispetto al passato alcune risorse esistenti: se già spendo dei soldi per eleggere un sindaco e pagargli un lauto stipendio, allora tanto vale utilizzare questo rappresentante, oltre che per l’attività principale, anche come componente di organi che non saranno più elettivi, come le nuove province (trasformate in entità di secondo livello) o il Senato.

Il presupposto di fondo è che esistano delle ridondanze che è opportuno eliminare e che le stesse cose che fanno oggi i membri del Senato possano essere svolte da altri rappresentanti già eletti per altre funzioni (ossia sindaci oppure i deputati). C’è un deficit di democrazia? Dipende dalla grandezza a cui si guarda. Se prendiamo il numero complessivo dei rappresentanti in valore assoluto, è evidente che si assiste una drastica riduzione; tuttavia è anche possibile argomentare che nei confronti di un sindaco (figura evidentemente cara, anche per storia personale, al presidente del consiglio) sussiste un rapporto di fiducia e un’attenzione maggiore da parte degli elettori rispetto a un senatore o un consigliere provinciale. Insomma, la minore rappresentanza in termini numerici, si potrebbe argomentare, viene compensata da rappresentanti locali, più vicini all’elettorato rispetto a quelli nazionali. Pertanto, se sussisteranno i presupposti alla base di questa impostazione, ossia che le medesime attività potrebbero essere svolte da un numero inferiore di persone, allora l’approccio alle riforme di Renzi dovrebbe garantire un guadagno di economicità alle istituzioni del nostro paese.

Quanto è credibile l’ipotesi che sia possibile ottenere gli stessi risultati (magari anche risultati maggiori) con minori risorse? A ben guardare risulta alquanto difficile ravvisare argomenti a sostegno della insostituibilità dei senatori o dei consiglieri provinciali, come pure del fatto che i rappresentanti a cui si chiede uno sforzo aggiuntivo abbiano già oggi esaurito la loro “capacità produttiva”. Insomma in assenza evidenze contrarie la scommessa di Renzi appare quantomeno plausibile

Se i risparmi in termini puramente economici allo stato non sembrano significativi (a detta di qualcuno nel caso delle province potrebbero essere addirittura nulli), potrebbe essere rilevante invece l’impatto in termini di incentivi e di segnali: l’idea è chiedere ai nostri rappresentanti di fare di più, a parità di stipendio. E la richiesta è fatta soprattutto a quei rappresentanti (in primis i sindaci) che dovremmo conoscere meglio e con i quali il rapporto fiduciario è più stretto.

Se tutto questo risulta positivo per il tentativo di innovazione che Renzi sta cercando di introdurre nella politica del nostro paese, stride in particolar modo con due elementi molto discutibili dell’Italicum, ossia le liste bloccate e le elevate soglie di sbarramento.

Le liste bloccate non sembrano avere altra giustificazione se non la volontà di assegnare ai vertici del partito un potere più stringente di controllo sui futuri candidati. Certo, il Pd può affermare che si tratta di un compromesso indispensabile al quale proverà a rimediare con le primarie; tuttavia il deficit democratico rimane e non si può pensare che consultazioni informali e limitatamente trasparenti come le primarie possano essere sufficienti a colmarlo (l’effetto perverso delle soglie di sbarramento troppo elevato è spiegato agevolmente in questo post).

Quali conclusioni è possibile trarre? Se è possibile assegnare un buon voto, diciamo otto, in economicità al Renzi riformatore, dobbiamo scendere sotto la sufficienza in democrazia mediando il 6 o 7 dato al Senato e alle province con un 3 o 4 assegnato alle liste bloccate e alle soglie di sbarramento dell’italicum.

Un’ultima considerazione: c’è un’evoluzione naturale nella maggiore rilevanza, che il sindaco sembra voler dare ai rappresentanti locali e al rapporto di fiducia di questi con il proprio elettorato; un percorso che non può che avviarsi verso un’impostazione di tipo federalista, che a queste figure conferisca maggiori responsabilità e autonomia, in particolare capacità impositiva. E’ troppo presto per giudicare questo aspetto, che per il momento va considerato alla stregua di “whishful thinking”, tuttavia data la struttura fortemente disomogenea del nostro paese e i persistenti squilibri in termini di redistribuzione interna, una revisione del nostro sistema in ottica federalista costituisce un passaggio imprescindibile per chi voglia veramente riformare il nostro paese.   

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