L’Italia è pronta ad armarsi con i nuovi cacciabombardieri F35. Ma nelle nostre caserme ci sono ancora sistemi d’arma vecchi di oltre mezzo secolo, in alcuni casi risalenti persino alla seconda guerra mondiale. Carri armati progettati negli anni Cinquanta, mortai già in uso al regio esercito. Per molti materiali si cerca un acquirente, di solito paesi senza troppe pretese tecnologiche (e non sempre le trattative vanno a buon fine). Per altri, ormai non più impiegabili, si aspetta solo l’autorizzazione allo smaltimento.
I dati sono stati forniti dal ministero di Palazzo Baracchini alla commissione Difesa del Senato qualche mese fa. Oggi il gruppo parlamentare del Movimento Cinque Stelle ne fornisce un lungo elenco in relazione all’indagine sui sistemi d’arma svolta a Montecitorio. Scorrere la lista è come fare un salto nella storia. È il caso dei 684 mortai Brandt di fabbricazione francese in forza alle nostre Forze Armate. «Armi della seconda guerra mondiale» racconta il deputato grillino Massimo Artini, vicepresidente della IV commissione. I 684 esemplari – su un totale di 1454 pezzi di artiglieria in dotazione all’esercito – saranno presto smaltiti. Lo ha confermato lo scorso autunno a Palazzo Madama il sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano: «È stato disposto il “fuori servizio” e si è in attesa del decreto di alienazione».
Li seguiranno presto altri sistemi d’arma. Come i 210 obici M109 da dismettere entro i prossimi quattro anni. «Semoventi di artiglieria — si legge su Wikipedia — introdotti alla fine degli anni Cinquanta». Dovranno uscire presto dalle nostre caserme anche diverse centinaia di carri armati. Dei quasi 1200 in dotazione all’esercito, sono già stati dichiarati “fuori servizio” 605 Leopard. Mezzi risalenti agli anni Sessanta e Settanta, quasi mezzo secolo fa. Stessa sorte per 381 veicoli di trasporto truppe M113 (su un totale di quasi tremila veicoli corazzati da combattimento). Stando ai dati di Wikipedia, anche questi progettati negli anni Cinquanta.
Secondo il documento dei Cinque stelle, si tratta di armamenti «ormai non più impiegabili e di nessun potenziale interesse sul mercato internazionale». Per i quali non resta che lo smaltimento, «anche per poter recuperare ad altro uso gli spazi da essi occupati». Diverso il destino di altri sistemi d’arma, in surplus o di prossima dismissione, «che potrebbero essere venduti a paesi terzi».
Come confermato dal ministero della Difesa, fanno parte di questo elenco, tra gli altri, 47 carri armati Ariete da dismettere entro il 2014. E poi almeno 500 blindati leggeri Puma e 210 obici semoventi M-109L. Alcuni esemplari sono stati ceduti negli ultimi anni a paesi amici come la Libia o Gibuti (dove l’Italia ha una base logistica antipirateria). Non è una novità. La cessione di mezzi non più strategici spesso è funzionale a risparmiare le inutili spese di manutenzione. In passato sono state cedute alla Libia anche alcune motovedette della Guardia di Finanza, inviate in Africa per il pattugliamento delle coste.
Tra i sistemi d’arma che potrebbero essere venduti all’estero ci sono veicoli da combattimento Centauro, carri armati Leopard 1A5, veicoli anfibi Arisgator. Per altri mezzi la cessione è più difficile. È il caso di 24 Eurofighter Tranche 1. «È la prima produzione — ricorda Artini — entrati in servizio una decina di anni fa, sono stati progettati alla fine degli anni Ottanta. Sono stati offerti senza successo a Romania, Serbia e Bulgaria». Un po’ come le otto fregate della Marina, classe Maestrale. Entrate in servizio nei primi anni Ottanta, «sono state già proposte alle Filippine — si legge nel documento del gruppo M5S — che hanno poi declinato l’offerta».