La guerra del tech ora si combatte sulla tv online

La guerra del tech ora si combatte sulla tv online

Chi ha a che fare con il mondo economico-finanziario conosce bene il significato della denominazione “big four” e a cosa si riferisce. Molto semplicemente con questa espressione di solito si indicano le quattro più grandi società di consulenza e revisione finanziaria che si spartiscono il mercato di riferimento. In realtà nessuna di questa quattro aziende costituisce una realtà o un’impresa a sé; spesso fanno parte di una rete di imprese, un network distribuito in maniera capillare in tutto il mondo. E alcune sono anche il risultato di una fusione tra aziende simili operanti nel medesimo settore. I colossi del campo della revisione e dell’organizzazione contabile a cui ci riferiamo sono nell’ordine PricewaterhouseCoopers, Ernst&Young, Deloitte Touche Tohmatsu e Kpmg.

Fare una premessa di questo tipo ci è sembrato il modo migliore per introdurre l’argomento principale che vogliamo trattare in queste righe. Più che delle aziende appena citate, il filo conduttore della discussione è la denominazione ad esse assegnata. Se oggi non esistessero infatti Pwc, Ernst&Young e le altre, l’appellativo di “big four” potrebbe essere la giusta etichetta da apporre ad altre quattro aziende – o forse sarebbe meglio dire quattro imperi economici – che da qualche anno si sono imposte prepotentemente nel mercato mondiale. Senza girarci troppo intorno, si tratta dei quattro giganti del mondo digitale: Amazon, Apple, Facebook e Google.

In questo caso, al contrario di quanto avveniva per le società di revisione, non è necessario essere un esperto di Information Technology né tantomeno un fanatico del sistema binario per sapere di cosa stiamo parlando. Queste big del tech sono entrate in maniera così semplice e allo stesso tempo perentoria e invasiva nelle nostre vite, da sembrare di averle cambiate completamente. E c’è da aspettarsi che le cambieranno ancora d’ora. Per capire il futuro però bisogna fare un breve salto nel passato e focalizzare l’attenzione su come hanno preso vita queste realtà. La loro storia parla chiaro: sono partite creando un business originale capace di proporre il meglio che si potesse offrire nel loro campo, salvo poi, col passare del tempo, indirizzare le loro scelte di crescita strategica su mercati tecnologici emergenti diversificati.

Andiamo con ordine. Sono principalmente due le caratteristiche principali che i giganti del tech hanno in comune tra loro e che forse ne rappresenta la vera forza: la prima è la capacità di essersi appropriati di un segmento di mercato specifico ed essere diventati, come dicevamo, l’eccellenza per quel settore. Facebook è il leader indiscusso dei social network: da piccolo esperimento universitario si è trasformato in una rete universale capace oggi di contenere oltre un miliardo di utenti. Google domina incontrastato l’universo dei motori di ricerca con una percentuale di mercato spaventosa: oltre il 90% degli utenti europei effettua le proprie ricerche online tramite il motore di ricerca della società di Mountain View, numeri di poco inferiori per quanto riguarda gli Stati Uniti, dove si sfiora il 70 per cento.

Su Apple il discorso non cambia: oltre ad essere la società che produce gli smartphone più ricercati sul mercato, conducendo una battaglia estenuate con i rivali nordcoreani della Samsung, Cupertino ha fatto del mercato della musica online un caposaldo dei propri affari. Anche qui parlano i numeri: oggi lo store iTunes conta oltre 500 milioni di utenti. Infine Amazon può considerarsi il più grande negozio online che, con i suoi mezzi discutibili o meno, gestisce la stragrande maggioranza delle vendite di prodotti online.

Altro punto in comune è quello relativo ai fondatori di questi giganti hi-tech. Si tratta infatti in tutti i casi di soggetti visionari quanto vulcanici che, anche se con profili diversi, rappresentano l’essenza stessa della creatività. Mark Zuckerberg aveva solo 20 anni quando inventò “The Facebook” e il suo modo di essere palesemente un nerd lo portò, qualche tempo dopo, a diventare l’amministratore delegato della società che egli stesso aveva creato. Oggi dirige le operazioni di Facebook da una scrivania di un ufficio di Palo Alto. Il 15 settembre 1997 Larry Page e Sergey Brin fondarono il motore di ricerca Google e poco più tardi la società omonima Google Inc. L’idea che stava alla base della loro creatura si rivelò vincente e i risultati raggiunti fino ad oggi lo dimostrano.

Apple deve il suo successo più di ogni altra cosa a Steve Jobs. Con i suoi modi burberi e la passione per l’estetica, Jobs rivoluzionò il mondo dell’informatica soprattutto lato hardware, introducendo il concetto di grafica applicata alla costruzione dei device. Nel 1994 è un trentenne informatico statunitense di nome Jeff Bezos a rinchiudersi nel suo garage e realizzare Cadabra.com, l’antenato di Amazon, il cui scopo era quello di rivoluzionare il commercio editoriale con una libreria online in grado di rispondere alle esigenze di un mercato vastissimo come quello americano. Da lì comincerà un’espansione inarrestabile che porterà la creatura di Bezos a vendere di tutto, divenendo il negozio online più grande del mondo.

Eppure a guardarle oggi queste aziende appaiono molto diverse da come le abbiamo fin qui descritte. Sembra infatti che stiano orientando i loro obiettivi verso business apparentemente molto distanti da quelli originari. Più di tutto impressiona ad esempio la grande battaglia a colpi di acquisizioni di startup, condotta ormai da lungo tempo, e che ha preso la forma di una vera e propria lotta di espansione tra i colossi della tecnologia. Il risiko dell’innovazione digitale infatti si sviluppa lungo tutta una serie di mosse strategiche. Innanzitutto lo scopo è quello di accaparrarsi il prima possibile il segmento di mercato potenzialmente più in espansione: in quest’ottica, come dimostreremo più avanti, i segnali portano a pensare che il mercato attualmente più appetibile sia rappresentato dall’universo della televisione via internet.

Un mercato per lungo tempo sperimentato in passato dalle parti della Silicon Valley – con risultati tutto sommato poco soddisfacenti – che però si sta riproponendo prepotentemente. In secondo luogo vi è poi una certa tendenza da parte di Amazon, Google, Facebook e Apple a muoversi lanciando sempre un segnale di forza al diretto concorrente. E questo sembra essere ancora più vero adesso che il mercato di riferimento non è più appannaggio esclusivo delle quattro sorelle, dato che da qualche anno nella galassia digitale sono entrate a pieno titolo anche Yahoo! e Twitter.

Per comprendere la metamorfosi di questi giganti, non serve andare lontano. Gli esempi recenti bastano a capire quali scenari futuri dovremo aspettarci. Abbiamo già dato conto in un altro articolo di come Mark Zuckerberg ha intenzione – ammesso che ce ne sia davvero bisogno – di rilanciare il suo Facebook: messaggistica istantanea e realtà virtuale sono le parole d’ordine, che tradotto in soldoni significano 19 miliardi di dollari per acquistare WhatsApp, e altri due miliardi per prendersi Oculus Vr. La vera scommessa, però, si gioca sul tavolo della tv via internet: un ecosistema ridefinito del tutto che rappresenta il mezzo attraverso cui i padroni digitali hanno intenzione di cambiare il nostro futuro.

Ad inizio aprile a New York Amazon ha presentato “Fire tv” il dispositivo che permette all’utente di vedere video, programmi e ascoltare musica attraverso la televisione di casa. Nella scatolina da 99 dollari di Amazon però c’è molto di più. Ad esempio i videogiochi, e l’importanza ad essi assegnata: dietro la scelta di proporre titoli come Minecrafts e Monsters University ad esempio, c’è la convinzione secondo Bezos che sempre più persone saranno invogliate a rimanere all’interno di questo ecosistema, utilizzando più contenuti e di conseguenza spendendo più soldi per sfruttare gli innumerevoli servizi che questo sistema offre. Secondo quanto ha dichiarato al Financial Times Yousseff Squali, analista di Cantor Fitzgerald, «Amazon vede la televisione come un portale attraverso il quale sarà in grado di guidare il commercio nel tempo a venire.

L’azienda di Bezos ha sicuramente una visione a lungo termine e sa che per cambiare il comportamento delle persone ci vogliono degli anni. Adesso si stanno muovendo solo i primi passi, i videogiochi e la tv via internet sono solo un meccanismo per raggiungere questo scopo». Certo non guarda nel vuoto Bezos dato che secondo i dati di un rapporto di Nielsen, le abitudini degli americani stanno cambiando: anche se ci sono 283 milioni di cittadini che guardano la tv, sempre più spesso si tratta di persone che guardano i loro programmi televisivi preferiti attraverso applicazioni su tablet, pc o servizi ondemand.

Una tendenza questa che mette in luce il fenomeno della migrazione della televisione verso Internet. Ecco perché Marissa Mayer, Ceo di Yahoo, ha deciso di muoversi per tempo. Sembra infatti che la società di Sunnyvale stia per finanziare quattro serie tv originali con un format del tutto nuovo. Si tratterebbe di commedie di mezz’ora con un budget a puntata tra i 700mila e il milione di dollari. Google ovviamente non sta a guardare, e dopo la decisione di commercializzare la chiavetta Chromecast (al prezzo super competitivo di 35 euro) che permette, tramite la porta HDMI di un televisore, di navigare e vedere video online, rilancia con l’idea Android Tv.

È un progetto che riprende un vecchia idea del 2010 mai portata a termine: come scrive il sito The Verge, il punto di forza della nuova tv di Google sarebbe quella di potenziare lo schermo a partire dai contenuti. Si tratterà di «un’interfaccia dedicata all’intrattenimento: cinematografica, divertente, fluida e veloce», fanno sapere da Google. E secondo le prime immagini che sono girate in rete, dovrebbe dare la possibilità all’utente di vivere un’esperienza semplificata attraverso il telecomando con al massimo tre clic. In tutto ciò anche Twitter fa la sua parte: il sito di microblogging sembra anche esso interessato al panorama televisivo anche se da un punto di vista un po’ differente: quello della social tv.

Con questo termine si intende l’interazione tra internauti e programmi televisivi, motivo per cui Twitter ha recentemente acquisito due aziende europee, SecondSync e Mesagraph, che si occupano di monitorare, seppur in maniera differente l’una dall’altra, la maniera in cui i telespettatori interagiscono con i social network durante i programmi televisivi. A questo punto vi domanderete: ma Apple? Le ultime indiscrezioni parlavano della presentazione della nuova versione di Apple tv proprio in aprile.

C’è da dire che le precedenti versioni della scatoletta di Cupertino non avevano riscosso grande successo molto probabilmente a causa della mancanza di contenuti. Ecco perché è proprio lì che andrà a intervenire Apple, che secondo indiscrezioni avrebbe preso accordi con Time Warner Cable, il secondo operatore televisivo via cavo degli Stati Uniti. Che tradotto vorrebbe dire oltre trecento canali che andrebbero ad aggiungersi alla già folta lista di fonti da cui la Mel apreleva contenuti .

Non ci resta che aspettare, insomma, e godersi lo spettacolo di una partita che non lesinerà altri colpi di scena futuri. Quel che va sottolineato è che Amazon, Apple, Facebook, Google e adesso anche Twitter e Yahoo stanno muovendosi sulla scacchiera virtuale della raccolta delle informazioni con fine destrezza. I database di queste società sono ricolmi di numeri, dati, categorie, profili e informazioni. E sono numeri che ci rappresentano, ci identificano e in qualche modo ci mettono a nudo di fronte a chi li gestisce. E se pensiamo alla recente scoperta di Heartbleed, un bug nel sistema di crittografia delle informazioni sensibili, il quadro pare allarmante.

Se queste grandi sorelle sanno cosa cerchiamo, dove andiamo, quali posti frequentiamo è ipotizzabile che possano prevedere anche cosa pensiamo. E magari conoscere i nostri bisogni prima di noi, proponendoci le soluzioni migliori per soddisfarli. La cosa che forse fa riflettere di più è che queste informazioni sono per la maggior parte fornite in maniera volontaria dall’utente stesso. Internet ci rende liberi? La discussione è aperta.

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