Matteo Renzi ricorre spesso alla metafora ferroviaria. L’esecutivo va avanti «come un treno», ripete da qualche giorno il presidente del Consiglio. L’incognita — teme qualcuno in Parlamento — è nella natura del convoglio: il governo viaggia sull’alta velocità o a bordo di un regionale? Il rischio è che la locomotiva del premier inizi seriamente a rallentare la sua corsa. Tutta colpa di ritardi imprevisti, che potrebbero accumularsi durante il difficile passaggio alle Camere. Mentre l’ambizioso calendario delle riforme viene messo a dura prova dalle prime difficoltà all’interno della maggioranza. Non fanno eccezione due tra gli interventi più attesi, il decreto Lavoro e il superamento del Senato.
Nel primo pomeriggio il ministro della Riforme Maria Elena Boschi ha annunciato a Montecitorio la fiducia del governo sul decreto Poletti. Un passaggio necessario per superare lo stallo nel confronto interno alla maggioranza. A sentire le opposizioni, un segno di evidente difficoltà. Nessun dubbio sull’esito della votazione. Domani la Camera assicurerà il suo voto all’esecutivo, giovedì il decreto sarà convertito e passerà al Senato. Ma lo scontro tra Nuovo Centrodestra e Partito democratico è solo rinviato. In mattinata un burrascoso vertice alla presenza di tutti gli alleati di governo ha finito per cristallizzare le distanze. Si continua a discutere sul numero di proroghe per i contratti a termine in trentasei mesi (erano otto, adesso sono cinque, una parte del Pd ne avrebbe voluti quattro). Ma anche sulle sanzioni da applicare al datore di lavoro colpevole di assumere più del 20 per cento dei dipendenti a tempo determinato.
A nulla è servita la proposta di mediazione avanzata dal titolare del Lavoro Giuliano Poletti: un tentativo di avvicinare le parti per garantire una celere approvazione anche al Senato. Il Nuovo Centrodestra assicura la propria fiducia al governo, ma promette battaglia. Al centro delle critiche finisce la minoranza democrat colpevole, nelle accuse degli esponenti Ncd, di frenare la spinta riformatrice del governo. Non è una minaccia priva di conseguenze: al Senato il gruppo parlamentare di Angelino Alfano può contare su una presenza decisiva per i delicati equilibri della maggioranza. Senza contare il ruolo chiave affidato all’ex ministro berlusconiano Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro e previdenza sociale.
E proprio a Palazzo Madama si è aperto in questi giorni il secondo capitolo delle riforme. Per tutta la settimana la commissione Affari costituzionali sarà impegnata con la discussione generale sul superamento del bicameralismo perfetto. Il governo punta al voto dell’Aula entro la fine di maggio, ma il percorso legislativo è ancora lungo e complesso. Anzitutto per la mole di lavoro: in commissione sono stati depositati ben 52 documenti, fino a domani prenderanno la parola un centinaio di parlamentari. Le audizioni degli esperti inizieranno solo da giovedì.
Anche qui le difficoltà non mancano. Diversi passaggi della riforma disegnata a Palazzo Chigi non sembrano aver convinto la maggioranza. Su alcuni particolari il compromesso è vicino: molto probabilmente, ad esempio, sarà rivista la norma che assegna al Quirinale il potere di nomina di 21 senatori. Più acceso il dibattito sulla natura del Senato. Contrariamente al progetto di Palazzo Chigi, una maggioranza trasversale potrebbe sposare la tesi del ddl presentato dal Pd Vannino Chiti (che conferma l’elezione diretta dei componenti di Palazzo Madama). Tra loro, forse, persino gli esponenti del Movimento 5 Stelle. Gli stessi senatori di Forza Italia non hanno ancora deciso. Domani un vertice del gruppo aiuterà a trovare una sintesi tra i berlusconiani. Nel frattempo il capogruppo in commissione Donato Bruno chiede un supplemento di riflessione e un nuovo incontro tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi.
A Palazzo Chigi ostentano sicurezza. L’iter delle riforme proseguirà, senza troppi ritardi. I tanti distinguo delle ultime ore sarebbero giustificati dall’avvicinarsi delle elezioni Europee. In cerca di visibilità, non c’è partito che non provi a marcare le distanze dal governo. Le polemiche? «Tipiche di un momento in cui si fa campagna elettorale — chiarisce Renzi in serata — Ma con rispetto della campagna elettorale noi vogliamo governare».