Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio aveva promesso una “rivoluzione culturale”. In serata la tornata di nomine delle grandi aziende pubbliche conferma le promesse di Palazzo Chigi. Come era accaduto all’esecutivo, anche le principali società controllate si aprono alle donne. Matteo Renzi aveva voluto otto ministre su sedici componenti della sua squadra, oggi il governo premia altre manager in rosa. Emma Marcegaglia diventa presidente di Eni, Patrizia Grieco di Enel, Luisa Todini delle Poste. «Sono particolarmente soddisfatto per la forte presenza femminile – il commento a caldo del presidente del Consiglio – segno di un protagonismo che chiedeva da troppo tempo un pieno riconoscimento anche da parte del settore pubblico. In linea, anche all’avanguardia, rispetto alle migliori esperienze europee e internazionali».
La parità di genere è raggiunta, o quasi. Come anticipato nelle ultime ore, viene riconosciuto il ruolo dell’ex presidente di Confindustria Marcegaglia, che sostituirà Giuseppe Recchi. Alla presidenza Enel arriva Patrizia Grieco, oggi presidente esecutivo di Olivetti. Una poltrona che il toto-nomine aveva assegnato a Luisa Todini, membro del cda Rai, finita invece alle Poste. Conclude il quadro Catia Bastioli, vicina alla presidenza di Terna. In realtà l’indicazione del governo per questa casella ancora non c’è – le uniche nomine che dovevano obbligatoriamente arrivare entro stasera erano quelle di Eni e Finmeccanica – ma solo perché la proposta spetta formalmente al cda di Cassa depositi e prestiti. Per il nome dell’amministratore delegato di Terna occorrerà ancora attendere 24 ore.
Rivoluzione in rosa, dunque. Ma nessuna drastica rottamazione. L’imponente cambio dei manager rispetta infatti il principio di continuità aziendale. Non sfugge così la scelta di Claudio Descalzi come amministratore delegato di Eni, né quella di Francesco Starace all’Enel. Entrambi cresciuti all’interno delle rispettive società, tutti e due vicini ai dirigenti uscenti. Coerentemente non cambia nemmeno il presidente di Finmeccanica. Come ampiamente previsto dalle indiscrezioni di questi giorni, Gianni De Gennaro rimane al suo posto. Al suo fianco il nuovo ad Mauro Moretti, in arrivo dalle Ferrovie dello Stato, a lungo in lizza proprio per entrare al governo (Renzi lo aveva indicato per occuparsi di Sviluppo Economico). Chiude la tornata di nomine Francesco Caio, che passa dall’agenda digitale all’amministrazione di Poste Italiane.
Trovata l’intesa all’interno dell’esecutivo, cambiano i vertici delle grandi società quotate pubbliche. Ma il primo passaggio davvero rilevante del governo Renzi non è al riparo da qualche problema. Prima di arrivare a chiudere l’accordo sui nuovi manager, a Palazzo Chigi va in scena un lungo confronto tra il premier e il titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan. Le cronache raccontano un serrato vertice di oltre quattro ore, al termine del quale il presidente del Consiglio sale al Quirinale per informare il capo dello Stato (seguito poco dopo dall’ad uscente di Eni Scaroni). Una giornata intensa per il presidente del Consiglio, culminata con un fuoriprogramma destinato a sollevare l’interesse dei retroscenisti. La visita a Palazzo Chigi dell’ex Cavaliere Silvio Berlusconi.
Intanto sui manager pubblici l’esecutivo ottiene un altro risultato di indubbio valore. La revisione degli emolumenti. «Il tetto fissato per le indennità dei presidenti delle società – spiega Renzi – che passano in alcuni casi da cifre a molti zeri a 238mila euro annui lordi, costituisce una novità che speriamo si imponga come best practice per tutta la Pubblica amministrazione e il segnale di una ritrovata sobrietà di un settore pubblico non più distante dai cittadini».