C’è uno strano fenomeno che permea gli ambienti della Silicon Valley. “Panta rei”, avrebbe commentato Eraclito: tutto scorre, o per meglio dire tutto cambia, deve cambiare continuamente, guai a rimanere immobili. I giganti del tech ci hanno ormai abituati da tempo a manovre eclatanti: acquisizioni onerose di piccole aziende nascenti o investimenti profusi per il lancio di nuovi servizi o strumenti in grado di rendere il proprio servizio sempre più appetibile e competitivo. In un mercato, quello tecnologico, famelico come nessun altro.
Abbiamo già più volte accennato alle spese pazze di Mark Zuckerberg, che, nel giro di pochi mesi, mettendo mano al portafoglio, ha fatto associare al nome di Facebook quello di società di messaggistica istantanea (WhatsApp), di realtà virtuali (Oculus Vr), o di applicazioni utilizzate per la condivisione di fotografie (Instagram). In questa direzione le aziende concorrenti non stanno a guardare a cominciare da Apple che, con un cambio radicale di tendenza rispetto agli ultimi anni, è in procinto di ufficializzare un acquisto di cui si parla ormai da settimane. Si tratta della società Beats Electronics, azienda leader nella realizzazione di cuffie e casse audio e titolare di un servizio di streaming musicale su cui l’azienda di Cupertino punta molto, per conquistare definitivamente il settore della musica online. A queste vanno aggiunte poi le ultime mosse di Amazon – il lancio di Fire Tv, innanzitutto, ma anche la partnership avviata con Twitter per permettere agli utenti di acquistare prodotti sul sito di e-commerce grazie all’utilizzo di un hashtag –, e quelle di Microsoft che, tra le altre cose, ha portato a casa la storica azienda di telefonia cellulare finlandese Nokia.
Nella Valle del Silicio chi si ferma è perduto, e in una logica frenetica simile alla chiusura del calciomercato, anche nelle ultime ore alcuni giganti della tecnologia si sono sfidati a colpi di acquisizioni. Sugli scudi più di tutti c’è Google: l’azienda di Mountan View ha messo le mani su Divide, una start-up che si occupa della gestione di dispositivi mobili. Tramite questo servizio per Google l’obiettivo è quello di consentire all’utente di poter separare e gestire i dati e le informazioni aziendali da quelle personali, nel caso in cui l’utente stesso stia utilizzando un dispositivo di proprietà della società per cui lavora. Non basta, perché a Mountain View guardano anche e soprattutto all’entertainment: Youtube – controllata da Google – infatti ha definito l’accordo (che verrà annunciato a giorni) per acquistare Twitch, un servizio di streaming video integrato in console per videogiochi. In pratica chi possiede una console, Xbox o PlayStation ad esempio, potrà accedere a Twitch e guardare o caricare video online.
Slingshot è invece l’asso nella manica di Facebook: sarebbe tutto pronto infatti per il lancio di questa applicazione di messaggistica istantanea “usa e getta”. Sì proprio così, dopo il mancato acquisto di Snapchat, considerato un vero e proprio successo (anche troppo forse) tra i teenagers americani, Zuckerberg ha deciso di guardare in casa propria per continuare a combattere il fenomeno della migrazione di adolescenti da Facebook verso altri lidi. Una battaglia iniziata proprio con l’acquisto di WhatsApp. Slingshot dovrebbe consentire all’utente di inviare brevi messaggi, foto e video che si autodistruggeranno una volta che il destinatario li avrà visualizzati.
A spingere l’azienda di Zuckerberg a produrre un’applicazione di questo tipo, sarà stato forse il rapporto stilato dalla Electronic Frontier Foundation (Eff), organizzazione statunitense che si occupa di diritti digitali. Qui vengono classificati tutti i big dell’high tech in relazione ai passi avanti compiuti in materia di privacy. “Who has your back” è il titolo del rapporto, che assegna un valore (una sorta di pagella in cui ogni società viene valutata con delle stelle) ad ogni azienda. Come si può notare guardando la classifica, tra le società più virtuose ci sono Facebook, Apple, Google, Microsofte Twitter. Male invece Amazon e anche Snapchat che tanto ha fatto gola dalle parti di Menlo Park. Le valutazioni sono assegnate in base a determinati criteri come ad esempio la pubblicazione periodica dei rapporti trasparenza e la massima chiarezza per quanto riguarda l’eventuale richiesta da parte dei Governi riguardo ai dati sensibili degli utenti.
Si badi bene però che lo scenario che si prospetta d’ora in avanti potrebbe essere ancora più complesso per questi giganti tecnologici: se fino ad ora ci si è trovati di fronte ad una lotta tutta “made in Usa”, le cose presto potrebbero cambiare. Le insidie maggiori arrivano dall’oriente e dalla Cina in particolare: una su tutte è il colosso dell’e-commerce Alibaba che, dopo l’enorme successo nel continente cinese, ha deciso di avventurarsi nel mercato americano, quotandosi a Wall Street. Lo scopo è creare un business per crescere ancora di più in Cina, ma anche e soprattutto insidiare il monopolio di Amazon. E non finisce qui perché a disturbare i sonni tranquilli degli americani ci pensa un’altra azienda cinese: si tratta di Xiaomi, stella nascente dell’high tech cinese, che non fa mistero di voler assomigliare, e quindi competere con Apple, nel caso qualcuno non ne fosse ancora convinto basta guardare il nuovo MiPad, l’ultima versione di tablet lanciata sul mercato dalla società di Pechino.