Tutta la Rete deve viaggiare alla stessa velocità?

Tutta la Rete deve viaggiare alla stessa velocità?

In queste ultime settimane si è fatto un gran parlare di net neutrality, espressione che molto semplicemente si può tradurre in “neutralità della rete”. Anche il meccanismo che sta alla base di questa definizione è abbastanza semplice, ovvero: tutto il traffico che si muove su Internet deve viaggiare alla stessa velocità, senza che nessun contenuto possa essere avvantaggiato rispetto ad altri. L’applicazione di questa norma ha creato però, e sta creando ancora, non poche discussioni soprattutto negli Stati Uniti, dove si è acceso un vero e proprio dibattito tra i sostenitori della net neutrality e coloro che invece la vorrebbero modificare. Tutto nasce a fine aprile 2014 quando la Federal Communications Commitions (FCC) – l’agenzia governativa che si occupa delle regolamentazioni del sistema delle comunicazioni negli Stati Uniti – comunica la volontà di impostare nuove regole riguardo alla neutralità della rete.

L’intento è quello di consentire ad esempio a grandi compagnie come Google e Netflix di pagare i provider – quelli che vengono spesso identificati con la sigla ISP (Internet Service Provider), ovvero i fornitori dei servizi Internet – come Comecast e Verizon per ottenere delle corsie preferenziali, più veloci, per inviare video e altri contenuti ai propri clienti. Secondo Tom Wheeler – presidente della FCC e curatore di tale proposta – questa decisione sarebbe in realtà rivolta a difendere la neutralità della rete, una liberalizzazione delle rete che, secondo Wheeler, garantirebbe maggiori opportunità a tutti. Sarà vero? Forse si corre il rischio di trovarsi nella condizione che chi potrà permettersi di pagare usufruirà di queste autostrade veloci della trasmissione di dati, chi no utilizzerà quelle tradizionali arrivando però sempre dopo. Una condizione, questa, che minerebbe il senso stesso della neutralità così come essa è stata concepita, e cioè come l’idea che i fornitori di servizi Internet legalmente riconosciuti non possano mettere in pratica nessun tipo di tattica discriminatoria nei confronti dei consumatori, e che ogni utente possa avere parità di accesso alla visualizzazione di qualsiasi contenuto da loro scelto. Senza contare che tutto ciò potrebbe poi portare a un riversamento dei costi di acquisizione di queste corsie sui consumatori, oltre che al soffocamento di possibili nascite di nuove realtà imprenditoriali sul modello di Facebook o Twitter.

Il nodo sembra intricatissimo e le parti in gioco appaiono decisamente distanti dal trovare un’intesa. A provare a mettere tutti d’accordo però, ci ha pensato Mozilla con la sua proposta. Secondo l’azienda, che ha realizzato il software open source Firefox, il mercato delle connessioni andrebbe rigorosamente suddiviso in due parti, separando i rapporti tra content provider (Google, Amazon, Facebook ecc.) e ISP e quello tra ISP e gli utenti. Il primo rapporto più precisamente andrebbe considerato come un servizio di “trasporto”di telecomunicazioni regolamentato dal Titolo II del Telecommunications Act del 1996. In tal modo la FCC riuscirebbe a far rispettare comunque le proprie norme lato consumatore, mentre potrebbe applicare norme più restrittive nel tragitto tra provider e fornitore di contenuti, secondo le regola per cui il trasporto dei dati via Internet deve rispettare i criteri di equità. Dal blog ufficiale di Mozilla si legge: “Categorizzare i servizi di consegna a distanza come servizi di telecomunicazione è coerente con gli orientamenti stabiliti dal Congresso e darebbe alla FCC ampia capacità di adottare e far rispettare la neutralità della rete. Con autorità chiare e regole efficaci, agli ISP potrebbe essere impedito di bloccare o discriminare qualsiasi fornitore, sia su una rete fissa che wireless”.

Lo scorso 7 maggio poi, un altro segnale di dissenso forte nei confronti della possibile attuazione della decisione paventata dalla FCC è arrivato dalla maggioranza delle più grandi aziende tecnologiche. Un coro unanime si è sollevato sotto forma di lettera aperta (leggi qui la lettera) indirizzata proprio al presidente della FCC Tom Wheeler. Amazon, LinkedIn, Facebook, Google, Microsoft, Yahoo! e molti altri (in totale sono 120 i firmatari della missiva) hanno fatto presente la loro paura, secondo cui le proposte riguardo la regolamentazione della net neutrality “rappresentano un grave pericolo per Internet”. Le aziende hanno di fatto chiesto al presidente della federazione di prendere misure adatte a “garantire che Internet rimanga una piattaforma aperta”. Perfino un gruppo di senatori americani tra cui Al Franken e Ron Wyden hanno fatto sentire la loro voce, inviando anch’essi una lettera lo scorso 9 maggio, in cui esprimono “grave preoccupazione” sulle possibili scelte della FCC.

Nel frattempo in attesa che si voti per approvare questo provvedimento, la seduta si terrà il prossimo 15 maggio, la FCC ha creato un indirizzo di posta elettronica ([email protected]), attraverso cui l’opinione pubblica potrà condividere le proprie opinioni e i punti di vista personali riguardo la neutralità della rete. Lo stesso presidente Tom Wheeler ha assicurato che “ascolterà” anche i pareri del pubblico. Per alcuni invece le proteste sono già passate dalle parole ai fatti: è il caso della società di web hosting NeoCities che, tralasciando l’idea della lettera, ha intrapreso la strada del pragmatismo per esprimere il proprio dissenso. In che modo? Semplicemente rintracciando l’intervallo interno di indirizzi IP della FCC e “strozzando” tutte le connessioni alla velocità di 28,8 Kbps.

Cosa succederà d’ora in avanti è difficile saperlo, bisogna innanzitutto aspettare fino al giorno della votazione, per riuscire a capire quali dinamiche si svilupperanno nel caso in cui dovesse venire approvata quello che fino ad oggi, è bene ricordarlo ancora una volta, è solamente una proposta. C’è da ipotizzare che le proteste non si fermeranno, ma va anche detto che in un periodo in cui l’attenzione mondiale è concentrata su temi come datagate, privacy e falle nei sistemi di criptaggio delle informazioni, forse accennare soltanto all’idea della creazione di un Internet a due velocità non sembra essere una mossa strategicamente adatta.

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