Sting ha sei figli, tre maschi e tre femmine. Ha sette case divise tra Gran Bretagna, Italia e Usa. Ha venduto più di 100 milioni di dischi e ha guadagnato circa 180 milioni di sterline. Se decidesse oggi di dividere patrimonio e denaro tra i figli, a ciascuno spetterebbero una casa, 30 milioni di sterline (37 milioni di euro, 71 miliardi di vecchie lire) e una mondana vita da figlio d’autore oscurata dall’ombra di un padre ingombrante.
Ma non andrà così. Perché a 62 anni, Sting ha fatto i conti con il passato. E ha deciso che felicità per lui è stata la fatica di diventare farfalla rompendo il bozzolo. Di trasformarsi da Gordon Matthew Thomas Sumner, figlio di una parrucchiera e di un lattaio di Wallsend, Nord est dell’Inghilterra, in Sting.
«Devono lavorare. Tutti i miei figli lo sanno e raramente mi chiedono qualcosa. Ovviamente se avessero dei problemi li aiuterei», ha detto il cantante inglese Sting in questa intervista rilasciata al Mail on Sunday.
Joe Sumner, figlio di Sting, con il gruppo che ha aperto il concerto dei Police allo Stade de France, a Parigi, nel 2007 (STEPHANE DE SAKUTIN/AFP/Getty Images)
L’annuncio sta facendo il giro del mondo. Perché la questione non lascia indifferenti: cosa assicura la felicità dei figli? La possibilità di vivere di rendita, oppure il dover lavorare per campare?
Il Mail on Sunday racconta che l’ex Police ha lasciato la periferia britannica (dall’interessante toponimo: Wallsend, Fine del muro) per conquistare fama e denaro a colpi di chitarra dopo aver visto la Regina Madre sfrecciare in Rolls Roys in una strada del suo paesello. Lei lo saluta con la mano e lui pensa: «Sarò ricco, famoso e di successo e guiderò una Rolls Royce come la sua». Sumner, destinato a diventare carpentiere navale come il nonno, decide allora che farà successo e comprerà una grande casa usando solo voce e chitarra. E mentre fa concerti nei dintorni vestendo giallo e nero come un’ape laboriosa (Sting significa «pungiglione», ed è il soprannome guadagnato grazie a quella “divisa”), lavora come scavatore e insegnante di inglese.
Cinquant’anni dopo quell’incontro, Sting pubblica un nuovo singolo, The Last Ship, un ritorno agli anni dell’infanzia trascorsi sui moli del cantiere navale di Wallsend. Un ritorno al punto di partenza di tutta questa storia di successo. «La cosa divertente, dice Sting al Mail on Sunday, è che sto ritornando a Wallsend, il posto da cui ho fatto di tutto per poter fuggire». Ci torna mentre inizia per lui l’ultima fase della vita. «Ho vissuto più vita di quella che mi resta: è un tempo interessante per un artista, più interessante che scrivere della tua prima ragazza».
Tempo di riepiloghi e massime di vita. Tempo che porta a credere che è meglio diventare che nascere farfalla. «Le persone credono che i miei figli siano nati con l’oro in bocca, ma in realtà non hanno avuto molto». «Ho detto loro da tempo che alla mia morte non sarà rimasto molto denaro da parte perché lo stiamo spendendo nelle cause sociali in cui crediamo io e mia moglie Trudie. E in ogni caso è certo che non volevamo lasciare un’eredità che diventi un peso attorno al collo». “Finds that are albatrosses round their necks”, dice letteralmente Sting.
Per questo la domanda vera che sta dietro alla scelta della rockstar inglese è la seguente: è giusto che ogni generazione riparta da zero, guadagnandosi sul campo i propri redditi, separando nettamente (o riducendo al minimo) i successi dei genitori o dei nonni dal proprio destino individuale? Oppure è accettabile, e se sì fino a che grado, che le fortune accumulate si trasmettano anche alle generazioni successive? Come vedete la scelta di Sting apre un dibattito che coinvolge l’educazione in famiglia, la scuola e quale regime fiscale sia capace di incentivare o meno il capitale di rischio o di rendita. Un dibattito tanto più importante dopo la pubblicazione di libri come quello di Piketty, che accusa il capitalismo occidentale di essere tornato a fine Ottocento, quando la rendita aveva decisamente la meglio sulla dura intrapresa. E voi, cosa ne pensate: Sting ha fatto bene o no?