Come far funzionare i contratti di sviluppo per il Sud

Come far funzionare i contratti di sviluppo per il Sud

Il 22 luglio il governo ha annunciato il varo di 24 progetti di sviluppo, per 1,4 miliardi di euro di risorse di cui 700 milioni di fondi pubblici nazionali. È una buona notizia soprattutto per il Sud, visto che per l’80% sono progetti incardinati nelle quattro regioni dell’Obiettivo Convergenza, cioè Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. È una buona notizia perché non sono interventi a pioggia, ma di taglio non inferiore ai 20 milioni (7,5 per l’agricoltura) per singola impresa e su progetti abbastanza precisi. Ed è una buona notizia perché quasi metà delle imprese interessate è straniera, con multinazionali come Vodafone e Unilever, Whirlpool e Sanofi. Tuttavia è una notizia buona, ma solo a metà. Non è colpa del governo attuale, che ha volontà e merito di accelerare, ma all’annuncio si arriva solo perché, entro qualche settimana, correvamo il rischio di vederci sottratte come Italia le quote di finanziamento dei fondi europei su cui questi progetti insistono: sono tutti denari che andavano utilizzati entro il 2013, e che non abbiamo saputo mettere a frutto per tempo.

Il tempo è tutto, a maggior ragione in un Paese che ha perso il 27% del totale degli investimenti nazionali, tra pubblici e privati, dal 2008 a fine 2013. Si tratta di interventi sia di riqualificazione di aziende o rami d’azienda in crisi, sia di sviluppo di nuove attività. I 25mila addetti la cui occupazione è salvaguardata o creata dai progetti annunciati ieri potevano e dovevano esserci anni fa, le aziende avrebbero potuto rispondere meglio alla crisi, la perdita di reddito sarebbe stata inferiore. A dirla tutta, la responsabilità non sta al braccio pubblico responsabile di raccogliere le richieste delle aziende e di elaborare l’istruttoria, cioè Invitalia, l’agenzia per l’attrattività degli investimenti italiani ed esteri guidata da Domenico Arcuri. Tant’è che Invitalia di progetti di sviluppo ne ha pronti 36. Se l’annuncio di ieri ne riguarda 24, in realtà ad essere già compiutamente stipulati ne è la metà cioè 12, e in stato di esecuzione non sono più di sei. E di questo la responsabilità è della pachidermica e tardigrada macchina pubblica, ministeriale e regionale, che deve attivarsi su ciascuno di essi dopo che l’istruttoria è compiuta. È questa, la nostra prima palla al piede. E ora bisognerà comunque correre, per varare in tempo gli altri progetti che Invitalia ha già cantierato.

Se diamo un’occhiata ai settori interessati, la Campania per molti versi è la regione più “accattivante”, visto che non solo allinea una pluralità di interventi nei settori di punta della propria specializzazione industriale più avanzata, dal settore aeronautico a quello del packaging all’alimentare, ma è anche l’unica ad allineare contemporaneamente progetti pronti anche nel campo turistico e in quello della grande distribuzione commerciale. Perché se c’è un punto debole, nei 36 progetti cantierati, è che pochissimi tra loro riguardano proprio turismo e commercio, che al contrario avrebbero un grande bisogno di incrementare la propria capacità di offrire servizi a maggior valore aggiunto e di superare al contempo quel frazionamento pulviscolare dell’offerta che ha una pesante responsabilità, sia nella nostra inadeguata capacità di attirare turisti esteri, sia nell’inefficienza di una catena dei prezzi che finisce per gravare troppo sul consumatore finale.

Per essere onesti fino in fondo, bisogna però ricordare anche una seconda debolezza pubblica. Non c’è solo la lentezza delle pluralità di competenze sovrapposte, che non ci mette in condizioni di usare i fondi europei in tempo adeguato, e a cui si rimedia affrettando decisioni e procedure. C’è un’altra grave questione irrisolta. L’esempio è dato proprio da uno dei 36 progetti pronti, nell’elenco Invitalia. Quello che riguarda i 100 milioni di cui 74 agevolati di investimento per EuralEnergy nel Sulcis, in Sardegna. Un problema, quello minerario dell’ex CarboSulcis, aperto da 20 anni. In 20 anni la regione Sardegna ci ha speso 600 milioni, e tra perdite e sovraccosti di acquisto dell’estratto addossati a Eni ed Enel la somma spesa complessivamente non è inferiore al miliardo di euro. I circa 490 minatori rimasti al 2013 hanno un costo medio lordo di 37mila euro annuo, eppure abbiamo speso 3 volte a testa in denaro pubblico ogni anno per non risolvere in nulla il problema. Lo abbiamo eternato, bruciando risorse di tutti, la vita e la speranza di chi è rimasto sempre appeso a un filo.

Ecco la seconda cosa che manca alla macchina pubblica italiana: un’agenzia pubblica indipendente, composta da professionalità economiche e d’impresa elevate, capace di valutare ex ante in autonomia rispetto ai governi e alle regioni i costi-benefici delle agevolazioni e degli investimenti pubblici, capace di monitorare nel tempo l’attuazione dei piani industriali agevolati (facendo anche scomparire i contributi a fondo perduto, che ancora restano anche nei programmi di sviluppo attuali, e che non aiutano la serietà dei progetti), e capace di fare un serio bilancio ex post degli interventi, in modo da spingere i successivi impieghi di capitale pubblico verso sempre migliori pratiche.

La politica non ama le valutazioni di efficienza indipendenti. Ma dalla fine dell’epoca gloriosa della primissima Cassa del mezzogiorno, la serietà delle valutazioni tecniche a corredo degli investimenti e delle agevolazioni troppe volte ha piegato il capo a criteri clientelari e di consenso. È per questo che nel Sud in passato troppe volte gli aiuti pubblici si traducevano in “prendi i soldi e scappa”, desertificando vieppiù l’impresa sana. Ed è per questo che un’eguale unità di capitale pubblico investita in Germania ha un rendimento superiore dui quasi il 40% a un eguale impiego in Italia, stando all’ultimo outlook del Fondo Monetario.

Non vale solo per i progetti di sviluppo di cui stiamo parlando oggi. Vale per qualunque riforma pubblica: è perché manca una valutazione seria e indipendente, che gli sgravi a tempo di Letta per le assunzioni nelle imprese hanno ottenuto solo il 28% dei risultati prefissi, e che la Garanzia Giovani in corso oggi corre il serio rischio di tradursi in un flop. Ci pensi Renzi: un’agenzia di valutazione indipendente di come si spendono i denari pubblici serve all’Italia. La Pa com’è oggi – e come resterà domani – non ce la fa.