Che si trattasse di un affare grosso lo si era capito sin dall’inizio: la conferma poi è arrivata dal continuo ingigantirsi di un nube polemica che non ne vuole sapere di dissolversi. Ecco perché siamo ancora qui a parlarne, dopo giorni dalla diffusione della notizia degli esperimenti effettuati da Facebook sulle emozioni degli utenti, a loro insaputa. Oltre 700mila profili che sarebbero stati “monitorati” dal social network, con lo scopo di verificare le reazioni degli utenti in relazione all’esposizione di contenuti positivi o negativi. In poche parole i ricercatori che hanno preso parte all’esperimento intervenivano manualmente su un algoritmo, che regolava il flusso delle notizie sulla bacheca degli utenti per esaminarne i comportamenti.
Da Menlo Park si sono subito attrezzati per trovare una giustificazione plausibile: Adam Kramer, uno dei ricercatori coinvolti, ha scritto un lungo post sul suo profilo in cui spiegava le modalità e le motivazioni di questa ricerca, stupendosi del fatto che questa abbia potuto sollevare tutto questo polverone. Voci ufficiali da parte della società fanno sapere invece che «l’esperimento sarebbe stato comunicato in modo inadeguato, e faceva parte di una ricerca per testare diversi prodotti». A quanto pare però tutto ciò potrebbe non essere sufficiente visto che nel Regno Unito è partita un’indagine del Garante della Privacy per capire se con questo test il social network di Zuckerberg ha manipolato i dati personali degli iscritti, ipotizzando anche la possibilità di comminare una multa che raggiungerebbe circa 800mila dollari. Una cifra che può considerarsi una carezza visto l’enorme patrimonio di Facebook.
Come spesso capita in questi casi il nodo della questione risiede nelle condizioni di utilizzo del servizio, ovvero in quel contratto che ogni utente stipula con Facebook al momento dell’iscrizione, e che raramente, vuoi anche per la lunghezza dello stesso, viene letto con attenzione. È probabile che nessuno di noi, o comunque pochissimi, al momento di accedere ad un servizio vada a leggersi i termini contrattuali che regolano la sottoscrizione. Questo perché, come per esempio potrebbe capitare con Facebook, il fatto stesso che milioni di persone utilizzino questo servizio, ci dà la garanzia che accettando le condizioni di utilizzo anche senza il dovuto approfondimento, non andremo in contro a particolari rischi.
Se da un lato questo ragionamento può essere valido, lo è altrettanto il fatto che chi utilizza Facebook ignora, o non rispetta, alcune regole che potrebbero indurlo a non iscriversi. Noi abbiamo cercato di analizzare le condizioni che Facebook mette in atto una volta attivato un profilo, cercando di dare risalto ad alcuni dei punti più interessanti anche in base all’esperimento che ha fatto tanto discutere.
Per cominciare, come tutti i contratti di utilizzo di un servizio, è bene sapere che i testi sono estremamente lunghi e occorre fare una selezione degli argomenti su cui focalizzarsi. Una volta che si accede a “Termini e normative di Facebook” si aprirà una pagina in cui compariranno tre sezioni principali: “Dichiarazioni dei diritti e delle responsabilità”, “Normativa sull’utilizzo dei dati” e “Standard della comunità”. È sulle prime due sezioni che sì è focalizzata la nostra attenzione, e una volta compreso quanto “sia importante per Facebook la privacy per gli utenti” — così si legge nel documento — vengono fuori dettagli interessanti.
Ad esempio, per quanto riguarda i contenuti coperti da diritti di proprietà, tipo foto e video, “l’utente concede a Facebook una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, per l’utilizzo di qualsiasi contenuto pubblicato su Facebook o in connessione con esso. Tale licenza termina nel momento in cui l’utente elimina il suo account o i contenuti presenti sul suo account, a meno che tali contenuti non siano stati condivisi con terzi e che questi non li abbiano eliminati”, in poche parole tutto ciò che condividiamo su Facebook, tra foto e video, diventa anche di proprietà di Facebook. Inoltre quando l’utente elimina tali contenuti, è possibile che essi “vengano conservati come copie di backup per un determinato periodo di tempo (pur non essendo visibili agli altri)”.
È interessante il fatto secondo cui se un utente pubblica contenuti o informazioni utilizzando l’impostazione “pubblica”, egli concederà a tutti, anche a chi non è iscritto a Facebook di accedere e usare tali informazioni e di associarle al suo profilo. Ovvero che tali informazioni verranno associate a quella persona anche al di fuori dei confini del social network, ad esempio effettuando una ricerca sui motori di ricerca.
I dati che consegnamo in mano al social network di Zuckerberg, per esempio la nostra età, saranno frutto di un processo che consentiranno a Facebook di “mostrare contenuti e pubblicità adatti all’utente”. Le informazioni che il sito riceve ogni qual volta c’è un’interazione possono servire, tra le altre cose, a “misurare o comprendere l’efficacia delle inserzioni visualizzate da te o da altri e mostrare inserzioni pertinenti”. Sulla gestione del profilo da parte dell’utente sono in vigore delle regole che forse in tanti non rispettano: non sarebbe possibile creare un altro account, senza il permesso di Facebook, se quello originale è stato disattivato; così come non è consentito creare più di un account personale o aprirne uno se si ha meno di 13 anni. Basta fare un giro anche solo nelle bacheche dei nostri amici per rendersi conto di quanto tutto questo sia disatteso.
Infine riguardo all’eliminazione dei profili le opzioni sono due: la “disattivazione” implica che l’account rimanga in sospeso, gli utenti non visualizzeranno il diario in questione, ma Facebook non eliminerà nessuna delle informazioni di cui è in possesso, in quanto l’utente potrebbe chiedere di riattivare l’account. L’“eliminazione” prevede invece la cancellazione in maniera permanente da Facebook. Di solito l’operazione avviene nel giro di un mese, ma alcune informazioni potrebbero essere conservate in copie di backup e registri per un massimo di 90 giorni.