Sono passati 13 anni da quell’11 settembre che ha cambiato la percezione globale del terrorismo e della minaccia rappresentata dall’Islam radicale. Mentre oggi l’attenzione mediatica è passata da al-Qaida all’Isis (Stato Islamico), sono ancora molti i miti da sfatare circa il terrorismo islamico, i gruppi jihadIsti presenti nel Vicino Oriente e non solo, e quella che ancora in molti continuano a chiamare al-Qaida. I primi due falsi miti riguardano proprio al-Qaida e, paradossalmente sono l’uno il contrario dell’altro:
1) Al-Qaida non esiste più
Con l’uccisione di Osama bin Laden nel 2011, in molti hanno creduto chiuso il decennio del terrore di stampo qaidista. La struttura centrale e di tipo verticistico, che caratterizzava il movimento che ha portato la guerra fin dentro il cuore degli Stati Uniti, era stata effettivamente smantellata e al-Qaida, come la conoscevamo fino all’11 settembre, non era effettivamente più la stessa. Inoltre, oggi il gruppo jihadista dell’Is (Stato Islamico, più noto con il suo precedente nome Isis, Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), ha attirato su di sé tutta l’attenzione mediatica e delle cancellerie occidentali e arabe, facendo credere che al-Qaida sia ormai eclissata. Ciò non è vero, dal momento che parte del nucleo originario di al-Qaida (il cosiddetto “al-Qaida core”) è ancora attivo tra il PakIstan e l’AfghanIstan, e la stessa ideologia qaidista ancora Ispira molti gruppi jihadisti locali in Africa e nel Vicino Oriente (si pensi a tutti i gruppi che ancora utilizzano il “brand” di al-Qaida e sono effettivamente in contatto con la struttura centrale di al-Qaida). La differenza, rIspetto a prima, è che tali gruppi si concentrano soprattutto su obiettivi locali e, agli occhi dell’osservatore esterno, sono diventati poco visibili.
2) Al-Qaida esiste ancora
Allo stesso modo in cui è scorretto dire che al-Qaida non esiste più, è scorretto dire che il movimento esista ancora. O, per lo meno, che esista come eravamo abituati a conoscerlo e immaginarlo dopo l’11 settembre. La realtà, come detto prima, è che al-Qaida è diventato qualcos’altro rIspetto a prima e che la sua struttura si è estesa orizzontalmente, perdendo la caratteristica dell’organizzazione piramidale precedente. Lo stesso Is rappresenta solo l’ultima evoluzione di quello che, fino al 2005, era al-Qaida in Iraq (Aqi).
Accanto ai due falsi miti creati dall’evoluzione e dalle trasformazioni di al-Qaida, vi sono quelli che, oggi, riguardano il movimento che nell’immaginario collettivo sembra ormai aver soppiantato al-Qaida come emblema del terrorismo di matrice islamica, l’Is. Sull’Is si è detto che è un gruppo emerso grazie alla guerra civile in Siria, che è il gruppo terroristico più ricco al mondo, che le sue strategie sono diverse da tutti i gruppi jihadisti presenti nel Vicino Oriente e che è mosso da un’ideologia fanatica, che trova terreno fertile in una popolazione – quella musulmana – il cui trend è quello di una radicalizzazione sempre maggiore. Alla base di tali affermazioni vi sono spesso delle letture molto semplicIstiche della questione Is e del fenomeno del terrorIsmo Islamico in generale, che per maggior chiarezza dovrebbero essere riviste.
3) L’Is nasce con la guerra civile in Siria
In realtà, l’Is è il diretto erede di Aqi, attivo in Iraq già dal 2004. Già nel 2006 aveva cambiato nome in Stato Islamico dell’Iraq (Isi), per divenire Isis soltanto successivamente. La sua presenza in Iraq è quasi decennale ed è scorretto dire che si tratta di un movimento sorto dalla galassia del fronte dei ribelli ad Assad in Siria, come sarebbe ancora più errato dire che è nato nel 2014, anno in cui è divenuto noto a livello internazionale. Sebbene sia oggettivamente corretto dire che la guerra in Siria ha rappresentato un’occasione per l’Is per guadagnare terreno rispetto agli altri gruppi jihadisti e ottenere una sempre crescente influenza anche tramite la conquista e il controllo di alcuni territori, è del tutto sbagliato pensare che sia un movimento nato da poco e frutto della scomparsa di al-Qaida.
4) L’Is è finanziato dal Qatar
Secondo alcune stime fornite da analIsti e studiosi, lo Stato Islamico avrebbe un budget di circa 2 miliardi di dollari: ciò farebbe del gruppo l’organizzazione terrorista più ricca del mondo. Da un lato, vi è da dire che è praticamente impossibile fornire dati certi sulla situazione economica del gruppo, per cui si tratta soltanto di ipotesi. Dall’altro lato, è ancora più difficile individuare le fonti di tali finanziamenti. Qui arriva un punto dibattuto: secondo le accuse di molti detrattori, uno dei maggiori finanziatori dell’Is sarebbe (o sarebbe stato) il Qatar. Tale assunzione deriva dalla posizione di Doha nei confronti della Fratellanza musulmana (sostenuta in Egitto e in altri Paesi arabi, contro la volontà dell’Arabia Saudita e dello stesso Egitto) e dai finanziamenti che il Qatar avrebbe fornito ad alcuni gruppi di ribelli anti-Assad nel conflitto civile siriano. Tuttavia, prima di tutto vi è da fare una distinzione tra la Fratellanza e lo Stato Islamico, e in seconda battuta non vi sono prove del fatto che il Qatar abbia direttamente finanziato l’Is. In assenza di certezze, è un errore sostenere che l’emirato abbia direttamente fornito denaro all’Is. Ciò che si può dire con certezza circa la natura dei fondi in possesso del gruppo di al-Baghdadi, è che una somma di circa 430 milioni di dollari è stata saccheggiata presso la sede di Mosul della Banca centrale irachena lo scorso giugno e che, se è vero che il gruppo controlla parte delle rIsorse petrolifere della Siria e dell’Iraq settentrionale e le vende sul mercato nero a prezzi molto inferiori a quelli di mercato (alcune fonti riferiscono di un prezzo che si aggira di media intorno ai 40 dollari al barile, invece dei circa 100 del mercato internazionale), da questo business deriverebbe una considerevole rendita. Ancora, se, come sembra verosimile, l’organizzazione riesce a estrarre e vendere circa 40.000 barili di petrolio al giorno, ciò equivarrebbe a una rendita di circa 1,5 milioni di dollari al giorno. Fonti locali riferiscono di un vero e proprio giro di racket nelle aree intorno a Mosul, che frutterebbe circa 8 milioni di dollari al mese all’Is. si tratta di forme di auto-finanziamento accertate, da cui il gruppo trae un notevole beneficio economico. Circa i supposti finanziamenti da attori statali come il Qatar, non vi è alcuna prova accertata.
5) L’Occidente è tornato a essere l’obiettivo principale del terrorIsmo Islamico
Uno dei falsi miti che si è alimentato nuovamente a seguito dell’uccisione dei due giornalisti statunitensi, James Foley e Steven Sotloff, riguarda la natura dei reali obiettivi del nuovo terrorismo. L’Occidente ha alzato il livello di allerta in seguito all’uccisione dei due ostaggi e la minaccia è stata resa ancora più credibile dalle fonti che riportano del fenomeno dei cosiddetti jihadIsti europei. Prima di tutto vi è da dire che l’uccisione degli ostaggi rappresenta uno strumento soprattutto di propaganda e che l’obiettivo principale dell’Is è quello di concentrarsi sul livello locale e combattere le forze dell’esercito iracheno e Siriano. Allo stesso modo, i gruppi jihadisti presenti in Medio Oriente e in Africa hanno obiettivi molto circoscritti: è il caso, solo per fare degli esempi, di al-Shabaab in Somalia; Boko Haram in Nigeria; al-Qaida nel Maghreb Islamico (Aqim) in Algeria e Tunisia; al-Qaida nella penIsola arabica (Aqap) nello Yemen. Questi sono tutti gruppi il cui fine ultimo è quello di costituire degli Stati Islamici nei loro rIspettivi teatri di operazione e tale strategia fa parte del passaggio dal cosiddetto jihad globale a quello locale. Con l’emergere dell’Is, propaganda ed effetti mediatici a parte, lo scenario sostanzialmente non è cambiato. Altro discorso, invece, è quello del cosiddetto “personal jihad”: individui che, mossi da spirito di emulazione, organizzano singole operazioni terroristiche contro obiettivi occidentali, come nel caso dell’attentato alla maratona di Boston lo scorso anno. Tali episodi, purtroppo, sono difficilmente prevedibili, ma allo stesso tempo i perpetratori non hanno collegamenti diretti con i gruppi jihadisti operativi nel Vicino Oriente e spesso agiscono da soli. Per dare una cifra che renda l’idea, si pensi che negli Stati Uniti dall’11 settembre 2001 in poi 33 persone sono state uccise in atti legati al terrorismo islamico, a fronte di una media di circa 13.700 omicidi l’anno.
6) Il terrorismo è figlio della radicalizzazione sociale nei Paesi musulmani
Molte analisi, sulla scia degli atti di violenza perpetrati dall’Is in Iraq e in Siria, si sono concentrate sulla possibilità che vi sia una sorta di sottocultura radicale che si stia alimentando nei Paesi a maggioranza islamica. Tale substrato, secondo quest’interpretazione, costituirebbe un terreno fertile per la diffusione delle ideologie radicali e del jihadismo. Se guardiamo a un recente sondaggio condotto dal Pew Research Center, però, scopriamo che i dati ci dicono il contrario: la comunità musulmana nel mondo è preoccupata tanto quanto quella occidentale dai fenomeni di radicalismo. Alla domanda se gli attacchi suicidi fossero in qualche modo giustificabili, per esempio, la percentuale di coloro che rispondevano «sì» è scesa negli ultimi 10 anni dal 33% al 3% in Pakistan e dal 15% al 6% in Indonesia, i due più popolosi Paesi Islamici al mondo. Lo stesso vale per la Giordania (dal 43% al 12%), il Libano (dal 74% al 33%) e altri Paesi arabi. Curiosamente, la percentuale di coloro che rispondono che talvolta il terrorismo può essere giustificato resta stabile in Egitto (25%) e Palestina (62%), realtà che vivono ancora situazioni di conflitto e/o emarginazione – se non repressione – dell’Islam politico o, nel caso della Palestina, della componente araba.
In sostanza, a distanza di 13 anni dall’11 settembre 2001, il terrorismo è ancora presente, ma ha in parte cambiato volto. L’allarmismo delle ultime settimane nei confronti dell’Is sembra essere causato dalla campagna mediatica del movimento e dai suoi atti di violenza indiscriminati contro le minoranze, l’esercito siriano e iracheno e gli ostaggi uccisi. Da un lato, però, l’avanzata dell’Is non vuole automaticamente dire che al-Qaida non sia più presente, anche se ha cambiato la sua organizzazione e le sue stesse strategie e gli obiettivi. Dall’altro lato, anche sull’Is e sul terrorismo islamico in generale, sono circolate una serie di notizie che potrebbero portare a una lettura distorta dei fatti, allo stesso modo in cui dopo l’11 settembre del 2001 vi fu una reazione dettata più dall’emotività che dalla razionalità. Le minacce dell’Is nei confronti dell’Occidente sembrano costituire una parte della loro propaganda soprattutto a uso interno, mentre appare più difficile che il gruppo jihadista possa compiere direttamente attentati su larga scala in Europa o negli Stati Uniti. sicuramente vi è la minaccia dei cosiddetti “lupi solitari” appartenenti al jihad individuale, ma tale fenomeno era in ascesa già prima dell’emergere dell’Is come attore di primo piano nel Levante. Non è da escludere che alcuni soggetti europei attualmente arruolati come jihadIsti possano aver sviluppato dei contatti direttamente con l’Is, ma ciò non vuol dire che l’Is abbia oggi le capacità per colpire direttamente l’Occidente, sebbene possa essere considerato una minaccia.
*Stefano M. Torelli, Ispi Research Fellow