12 ore in una clinica per l’Ebola

12 ore in una clinica per l’Ebola

Ebola è diventato il pericolo pubblico n° 1. L’America teme la sua diffusione e le sue conseguenze più di quanto non sia spaventata dai terroristi dell’Isis. Obama ha inviato più di 3mila soldati nella regione dell’Africa occidentale, dove il virus è nato e ha già ucciso, ad oggi, circa 3.300 persone. I primi casi in America e in Europa stanno facendo alzare il livello di allerta anche in Occidente. In questo reportage scelto per voi, un inviato speciale del New York Times racconta una giornata dall’alba al tramonto in un centro per la cura dell’Ebola in Liberia.

Suakoko, Liberia- La strada sporca si snoda, affonda, passa attraverso una piantagione di gomma e arriva su una collina, vicino al campo di un vecchio lebbrosario. L’ultima piaga, Ebola, è sotto assalto qui, in un gruppo di edifici blu cobalto diretti da una organizzazione umanitaria americana, l’International Medical Corps. Nel centro per il trattamento appena aperto, lavoratori liberiani e volontari da tutto il mondo identificano chi è infettato, salvano chi possono e provano a contenere il contagio del virus. È un posto ordinario e allo stesso tempo irreale. Giovani in salute corrono intorno ai reparti; un fumo acre soffia da un inceneritore di rifiuti medici nell’esteso cielo tropical; i dottori sono irriconoscibili nelle tute protettive gialle; pazienti che potrebbero non avere Ebola ascoltano la radio con quelli che ce l’hanno, separati da una recinzione e dall’aria aperta.

Ecco i ritmi di una giornata tipo:

7:20
Subito dopo il loro arrivo, circa una dozzina di dottori e infermieri si radunano vicino a una lavagna per il cambio con quelli del turno di notte. Ci sono 22 pazienti e nella notte non ci sono stati morti. Il centro – che include un area triage, un’unità ristretta per i casi sospetti di Ebola e un’altra per quelli colpiti dalla malattia – non è pieno come alcune cliniche a Monrovia (la capitale, ndt), più di quattro ore a Ovest di qui. È costruito per accogliere fino a 70 pazienti, ma si sta ingrandendo dopo l’apertura qualche settimane fa, e ha solo due ambulanze per trasportare i pazienti. (…)

8:10
Sean Casey, l’americano che guida il centro, raccoglie i capi-dipartimento per quella che diventa una conversazione sul flusso dei pazienti. Il capo dell’equipaggio delle ambulanze dice che cinque pazienti con possibilità di infezione stanno aspettando di essere trasferiti al centro. Ma il reparto è pieno, risponde Casey, e prima bisogna che si liberi. Sono attesi i risultati del laboratorio, di modo che i pazienti senza Ebola possano essere dimessi e i casi confermati trasferiti all’altro reparto. Il centro ha anche dei pazienti affetti da altre malattie. Avrebbero dovuto essere trasferiti all’ospedale locale, ma offriva assistenza limitata a causa della morte di sei infermiere per Ebola. (…)

8:45
Lo staff medico – che include un dottore americano, un’infermiera spagnola e una kenyana, oltre che un medico e altre infermiere e lavoratori liberiani – indossa l’equipaggiamento protettivo pezzo per pezzo prima di entrare nell area trattamenti. Guanti, tute Tychem, maschere, cappucci, grembiuli, occhialini, il tutto controllato allo specchio per assicurarsi che nessuna parte di pelle sia in vista. Il processo dura circa venti minuti. (…)

10:00
Due uomini con le tute protettive gialle e spessi guanti di gomma lasciano la clinica trasportando un sacco per cadaveri su una barella. Mentre si incamminano dentro la foresta tropicale accompagnati dai versi degli uccelli, un altro uomo li segue da dietro, spruzzando il sentiero sporco fino a che le foglie marroni non luccicano di una soluzione candegginosa. Stanno seppellendo un uomo di 38 anni. Nello stadio finale della malattia aveva lasciato il suo letto, disorientato, e si era rannicchiato affianco a una donna di cinquant’anni, morta. Un’infermiera li aveva trovati così la mattina dopo, in una scena «allo stesso tempo toccante e terribile». (…)

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