Da Hamas alla Siria, dall’Egitto alla Libia, il Paese sul piccolo promontorio nel Golfo Persico ha costruito una rete in tutto il Medio Oriente attraverso cui finanzia e appoggia le fazioni islamiste. Causandogli l’ostilità dei vicini arabi che vogliono sempre e comunque mantenere lo status quo. Questa politica in alcuni casi gli è sfuggita di mano, con conseguenze drammatiche (vedi Siria). L’enorme disponibilità di gas naturale danno risorse tali al Qatar da permettergli di muoversi a piacimento nei conflitti regionali. Uno speciale di Foreign Policy racconta il ruolo del Qatar in questi anni.
La rete del Qatar ha giocato un importante ruolo nel destabilizzare praticamente tutte le situazioni complicate nella regione e nell’accelerare la crescita delle fazioni jihadiste e radicali. I risultati vanno dal cattivo al catastrofico nei Paesi che sono stati i beneficiari dell’aiuto del Qatar: la Libia è incastrata in una guerra tra milizie finanziate per procura, l’opposizione siriana è stata sopraffatta dalle faide interne e surclassata dagli estremisti, e l’intransigenza di Hamas ha aiutato a prolungare la piaga umanitaria della striscia di Gaza. (…)
Per anni gli Americani hanno voluto ignorare la rete di Doha – o anche di avvantaggiarsene di quando in quando. I vicini del Qatar, invece, non l’hanno fatto. Durante lo scorso anno Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrain hanno pubblicamente rimproverato il Qatar per il suo supporto a politici islamisti nella regione. Questi Stati hanno minacciato di chiudere le frontiere o di sospendere la partecipazione del Qatar nel Gulf Cooperation Council se questo non fosse tornato sui suoi passi. Dopo quasi un anno di pressioni, il primo segno di una concessione qatariota è arrivato il 13 settembre, quando sette alti rappresentanti della Fratellanza Mussulmana egiziana hanno lasciato Doha su richiesta del governo del Qatar. (…)
Nello scenario globale, il Qatar vede il suo ruolo non meno che grandioso. Sotto gli alti soffitti candelierati delle lobbi degli alberghi a cinque stelle di Doha, bramose delegazioni da tutto il mondo espongono i loro casi per avere supporto. Governi, partiti politici, compagnie e gruppi di ribelli si agitano dentro e fuori nervosamente, e poi aspettano con un tè caldo che la loro proposta sia considerata dalle rilevanti autorità qatariote. L’albergo in cui stanno i visitatori indica le loro prospettive per l’aiuto in questione. Il Four Seasons e il Ritz-Carlton sono i vecchi favoriti; il leader di Hamas Khaled Meshaal ha alloggiato al primo, l’opposizione siriana al secondo. Il W Hotel è il nuovo arrivato snob, accoglie principalmente avide delegazioni di Europei che cercano investimenti o gas naturale. Lo Sheraton, uno dei primi hotel di Doha, è fuori moda. Lì i rappresentanti dei ribelli del Darfour stavano durante i negoziati con il governo sudanese. Tutti vogliono entrare nel network, perché, come una volta un siriano ha detto:« Il Qatar ha i soldi e il Qatar connette i soldi». (…)
I vincitori in questo casino sono spesso stati quelli con i nodi più lunghi a questo piccolo stato ricco di gas: un serraglio di leader dalla Fratellanza Mussulmana globale. Doha era già diventata un hub di estremisti nei primi anni 2000, quando i think tank finanziati dal governo e le università si legarono ai pensatori islamisti. La finanziata Al Jazeera stava crescendo nella regione, offrendo un’attenzione mediatica positiva alle figure della Fratellanza in Medio Oriente, e molti dei consiglieri della famiglia reale erano espatriati della Fratellanza. (…)
Ma è in Siria che la rete del Qatar ha più spettacolarmente fatto cilecca. La competizione tra clienti qatarioti e sauditi ha reso l’opposizione politica inefficace, percepita sul terreno come vassalla di potenze straniere. Durante il 2012 e il 2013, la proliferazione di nuovi gruppi ribelli portò alla competizione per i finanziamenti. Alcuni dei clienti del Qatar diventavano brigate chiave, gruppi come Liea al Tawhi, il cui leader è riuscito a unire i ribelli nella battaglia per il controllo di Aleppo. Altre, invece, semplicemente hanno rinunciato o sono rimaste debolmente, concentrandosi sui loro propri ideali e gol. In altre parole, non c’è stato un vincitore. Il Qatar e altre potenze internazionali hanno appoggiato a casaccio dozzine di brigate differenti, e le hanno lasciate a combattersi per contendersi una parte maggiore di finanziamenti. Hanno avuto pochi incentivi a cooperare in operazioni, lasciate a strategie solitarie. Né i vari supporter hanno alcun incentivo a metterle insieme, dato che questo potrebbe sminuire la loro influenza sui ribelli. (…)