La storia della timeline

La storia della timeline

Come ci immaginiamo il tempo? Il modo più immediato di visualizzarlo è quello di una linea retta, e una retta orientata – da cui ad esempio il titolo del famoso romanzo di Martin Amis, La freccia del tempo. Oggi che l’informazione su Internet fa uso sempre più spesso di nuovi formati grafici, uno dei più diffusi è appunto la linea del tempo o, come si dice normalmente, la timeline. Ma il tempo è sempre stato rappresentato con una retta?

La risposta a questa domanda è, in modo piuttosto sorprendente, no. La storia della linea del tempo, della timeline, è stata ricostruita dallo storico americano Anthony Grafton (autore anche di una storia della nota a pié di pagina: The Footnote, A Curious History) che insieme a Daniel Rosenberg ha pubblicato nel 2010 Cartographies of Time (edito in Italia da Einaudi nel 2012, con il titolo Cartografie del tempo). È un libro affascinante, e riccamente illustrato, che viaggia attraverso i secoli e le rappresentazioni, a volte bizzarre, che gli uomini hanno dato delle successioni degli eventi.

La linea del tempo, scrivono Grafton e Rosenberg, sembra una delle metafore più scontate e naturali che abbiamo a disposizione: gli eventi si succedono l’uno dopo l’altro, come i punti di una retta, e come loro possono essere rappresentati. Eppure, aggiungono, «nella sua forma moderna, con un singolo asse e una regolare e misurata distribuzione di date, è un’invenzione relativamente recente. Intesa in senso stretto, la timeline non ha neppure 250 anni». E ancora: «come standard ideale di come sembra la storia, la timeline non compare fino all’età moderna».

I due autori vogliono mostrare come, perché si sviluppi la timeline, debbano avvenire una serie di cambiamenti che non sono tecnologici ma concettuali – la linea del tempo compare molto tempo dopo lo sviluppo della stampa ed è preceduta da rappresentazioni, come vedremo, assai più elaborate.

La registrazione dei fatti della storia dell’uomo è antica quanto la scrittura: così abbiamo cronologie antiche dei re persiani o liste dei consoli di Roma. Quando si trattava di dare a quei fatti una rappresentazione grafica, a partire dal quarto secolo dopo Cristo circa, si può dire che l’antichità abbia trovato l’equivalente della nostra timeline: la tabella.

Eusebio, Chronicon. Edizione a stampa del 1504

Il merito del dominio della tabella, che sarebbe durato per molti secoli a venire, si deve attribuire almeno in parte al teologo Eusebio, vescovo di Cesarea, vissuto tra il 265 e il 340. Nei tumultuosi primi decenni della religione cristiana, Eusebio prese le parti dell’eretico Ario tanto da ospitarlo e da venire scomunicato; più avanti però tenne il panegirico per i trent’anni di regno dell’imperatore Costantino e riuscì a tornare nelle grazie, se non dei suoi correligionari più ortodossi, almeno della corte.

Per la sua cronaca storica, Eusebio si pose l’obiettivo di situare con chiarezza il cristianesimo nella storia del mondo. Per farlo, adottò una soluzione tanto semplice quanto di successo: costruì una tabella con al centro la narrazione della storia ebraica e poi cristiana, come raccontata dalle scritture sacre, e a fianco la storia di altri diciannove popoli che avevano rapporti importanti con i cristiani, dai greci agli egizi e agli assiri. In questo modo poteva mostrare, ad esempio, che il filosofo greco Talete e il profeta biblico Geremia erano stati quasi contemporanei.

Mano a mano che i popoli perdevano la propria autonomia, o scomparivano dal palcoscenico della storia, la colonna che registrava i loro eventi e la loro cronologia scompariva. Con la conquista di Gerusalemme da parte dei Romani – nel 70 d.C. – tutte le “linee parallele” della cronaca di Eusebio si unificavano in una sola: uno ad uno le storie degli altri erano state assorbite in quella dell’Impero. L’impero romano che, proprio in quegli anni, aveva alla guida il primo sovrano ad essersi convertito al cristianesimo.

Più volte ripresa e aggiornata, l’opera di Eusebio – e la sua visualizzazione tabellare – ebbe un grande successo ancora nel quindicesimo e sedicesimo secolo. Fu uno dei primi libri a ricevere una versione a stampa.

Ma nel corso della prima età moderna erano già in atto sperimentazioni diverse. Alcune di queste erano di provenienza biblica: nel libro di Daniele, il re babilonese Nabucodònosor sogna una statua con la testa d’oro, il petto d’argento, il ventre di bronzo, le gambe di ferro e i piedi d’argilla.

Il sogno viene interpretato come una premonizione dei regni che si succederanno dopo il suo, fino all’avvento del regno divino. Così, per tutto il Medioevo l’immagine della statua sarà utilizzata nelle rappresentazioni del tempo, e ha fortuna anche ben più avanti: l’esempio qui accanto viene da un libro del 1585, l’Anatomia statuae Danielis di Lorenz Faust (l’immagine si può vedere in alta risoluzione qui). Nelle diverse parti del corpo della statua sono registrate successioni di re antichi e moderni, dai re persiani ai sovrani tedeschi.

Altri esperimenti si concentravano più sulle innovazioni grafiche, anche grazie alle nuove possibilità date dalla stampa. Nel 1474 uscì un libro di una cinquantina di pagine, il Fasciculus Temporum, in cui Werner Rolewinck mostrò la storia universale usando principalmente alcuni cerchi concentrici. I cerchi erano pensati per facilitare la memorizzazione degli scrittori e dei monarchi antichi, e si univano a illustrazioni dell’arca di Noé o di altri celebri episodi biblici.

Un altro formato di grande diffusione in quegli anni, per rappresentare la storia, era quello dell’albero genealogico, che permetteva alle famiglie nobili di provare discendenze illustri e di visualizzare le proprie origini. Oppure, variazione delle immagini “anatomiche” della statua di Daniele, avevano un certo successo anche le rappresentazioni grafiche basate sul disegno di una mano, uno strumento allora molto più diffuso di oggi per l’aiuto nella memorizzazione.

Il libro di Grafton e Rosenberg è magnificamente illustrato e dà molto bene l’idea della grande varietà di soluzioni per rappresentare il tempo, nei secoli della stampa: tabelle, grafici, schemi, raffigurazioni basate sulle eclissi. In uno dei casi più originali, Johannes Buno scelse di rappresentare ciascuno dei diciassette secoli della sua storia universale con un oggetto o un animale. Sulla figura che “sintetizzava” il secolo – un recipiente d’olio o un orso, ad esempio – Buno disegnò poi le personalità più importanti di quel tempo.

Dopo tante soluzioni fantasiose, a partire dalla metà del XVIII secolo circa sembra che entri in gioco una tensione verso la semplificazione, una sorta di nuovo desiderio di sintesi.

Secondo gli autori, la vera svolta nella rappresentazione del tempo arriva con uno scienziato e teologo inglese, Joseph Priestley. Priestley (1733-1804) fu autore di circa centocinquanta opere, e nel corso della sua vita diventò piuttosto famoso per aver inventato, tra le altre cose, nientemeno che un sistema per arricchire l’acqua di anidride carbonica – in altre parole, l’acqua gassata. Nel campo della rappresentazione del tempo, si ispirò ad una Chart of Universal History del 1753, opera del cartografo Thomas Jefferys (che qualche anno più tardi divenne il geografo di corte del re Giorgio III).

La carta di Jefferys era una sorta di estremizzazione delle tabelle di Eusebio. Sulla sinistra c’era una scala temporale, ma con intervalli irregolari, e nella parte centrale una grande rappresentazione a colori della Storia, in cui l’Impero romano aveva ancora la parte del leone. Gli imperi e le nazioni antiche e moderne davano ancora i nomi alle colonne, come nell’opera di tanti secoli prima. Ma ora la carta era fatta per essere consultata come una carta geografica, per stare in una sola grande pagina e non più per essere sfogliata come un libro. Scrivono Grafton e Rosenberg: «Jefferys portò al progetto cronografico la visione dell’incisore: il suo schema dimostrò quanto potesse essere fatto restando nei confini di una sola pagina».

Versione semplificata della Chart of Biography, 1765

Priestley partì da lì e, nella sua Chart of Biography (1765), fece il passo avanti decisivo: le date sono a intervalli regolari e disposte in orizzontale sul foglio, da sinistra a destra – ovvero nella direzione della lettura. È l’intuizione fondamentale alla base della timeline. Lo schema è poi diviso in sei fasce, che classificano diversi tipi di persone famose: «Storici, antiquari e giuristi; Oratori e critici; Artisti e poeti; Matematici e fisici; Teologi e metafisici; Uomini di stato e guerrieri». Ciascun personaggio è rappresentato da una linea retta, che è lunga quanto la sua vita terrena.

Nelle parole dello stesso Priestley, con il suo schema era possibile capire subito chi fosse stato contemporaneo di chi: «Riceviamo il particolare piacere, dalla vista di questo schema, di ammirare un grande uomo come sir Isaac Newton seduto, com’era, nel circolo dei suoi amici e illustri contemporanei. Vediamo in un istante solo con chi poteva fare conversazione».

La grande carta di Priestley – era larga circa un metro e alta sessanta centimetri – portava nel mondo della cronografia un principio scientifico, sistematico e facilmente ripetibile. Nella sua semplicità, era un’alternativa finalmente completa e convincente alla tabella che aveva dominato per secoli. Fu lo stesso Priestley a dimostrare la flessibilità della sua intuizione: nella Chart of Biography erano registrate duemila personaggi storici attraverso circa tremila anni; nella New Chart of History, pubblicata quattro anni più tardi, erano mostrati i destini di 78 regni nello stesso periodo di tempo.

Joseph Priestley, New Chart of History, 1769

E così, la timeline ha la sua origine nell’intuizione di un prolifico autore inglese del Settecento, che inventò l’acqua gassata e scoprì l’ossigeno (una scoperta solitamente attribuita a lui, ma che deve essere spartita con lo svedese Carl Wilhelm Scheele e con Antoine Lavoisier). Le due carte di Priestley furono un enorme successo, usate per decenni come materiale didattico, e a metà dell’Ottocento erano entrate così tanto nell’immaginario visivo collettivo che non venivano più neppure attribuite a lui.

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