TaccolaIl 2015 sarà l’anno della svolta? C’è chi dice no

Il 2015 sarà l’anno della svolta? C’è chi dice no

Due numeri hanno lasciato tutti a bocca aperta, mercoledì 28 gennaio: +2,1% nel 2015 e +2,5% nel 2016. Sono le spinte alla crescita italiana, cioè gli incrementi percentuali del Pil, secondo l’ultima Congiuntura Flash, l’analisi mensile del Centro Studi di Confindustria. Il testo non chiarisce bene a quanto dovrebbe arrivare l’aumento del prodotto interno lordo per ciascun anno, per effetto di queste spinte. Se, come ha fatto notare Mario Seminerio sul suo blog, vada considerata come una spinta aggiuntiva che porterebbe il Pil del 2015 al 2,5% e quello del 2016 al 3,5 per cento. Oppure se il «Csc si riferisca alla “escursione” del tendenziale di crescita del Pil tra il quarto trimestre 2014 (quando è stato di -0,4%) ed il quarto trimestre 2015. Se la nostra lettura è corretta, il tendenziale del quarto trimestre 2015 dovrebbe quindi essere di +1,7%».

In tutti i casi, una stima molto più ottimistica di quelle precedenti, che segue di sole due settimanei i tagli alla crescita previsti da Banca d’Italia e Fmi. In mezzo ci sono stati il Quantitative Easing annunciato da Mario Draghi e l’accordo sulla flessibilità raggiunta in Europa. Il Csc ha messo in fila tre ordini di fattori che dovrebbero spingere il Pil: 

Anzitutto, la combinazione molto favorevole di elementi esterni, una vera manna dal cielo: crollo del prezzo del petrolio, svalutazione del cambio dell’euro, accelerazione del commercio mondiale, diminuzione dei tassi di interesse a lungo termine. Sommando i loro effetti, stimati dal Csc sulla base di ipotesi prudenti, si arriva a una spinta per l’Italia pari al 2,1% del Pil nel 2015 e a un aggiuntivo 2,5% nel 2016. Questi impulsi espansivi restano sostanziosi anche una volta “fatta la tara” al loro pieno concretizzarsi per tener conto delle difficoltà del contesto di grave crisi. Il secondo fattore sono le politiche più orientate alla crescita, che daranno maggiore sostegno all’occupazione e agli investimenti, grazie anche alla flessibilità conquistata a Bruxelles. Il terzo fattore sono gli indicatori congiunturali che segnalano la stabilizzazione della domanda interna e della produzione, offrendo una buona base di ripartenza. Senza considerare Expo, che darà un apporto non marginale. 

Come leggere queste stime? Abbiamo chiesto di valutare i singoli fattori presi in considerazione da Csc a tre economisti: Marco Fortis, professore di Economia industriale e Commercio estero all’Università Cattolica e vicepresidente della Fondazione Edison; Giorgio Arfaras, chief of investment committee di Scm Sim spa e membro del Centro Einaudi; Carlo Alberto Carnevale-Maffè, docente di Strategia e politica aziendale, Dipartimento di Management all’Università Bocconi. 

Petrolio

CSC: “Il crollo del petrolio fornirà, però, una spinta decisa alla crescita. Vale un trasferimento di oltre 2mila miliardi di US$ dai paesi esportatori agli importatori, le cui capacità e propensioni di spesa sono maggiori. L’Fmi stima che un calo del 10% del suo prezzo aumenta dello 0,2% il PIL globale; ergo il -55% vale un +1,1% di Pil. Il rafforzamento del dollaro aiuterà, inoltre, a diffondere la crescita Usa al resto del Mondo”. 

Nella tabella sulle spinte alla crescita si specifica che il prezzo è previsto a 45 dollari al barile per il 2015-2016. La spinta al Pil sarà dello 0,6% nel 2015 e dell’1,1% nel 2016.

Il commento più deciso su questo punto viene da Carnevale-Maffè: «Ho quattro critiche sull’impatto stimato del petrolio: proietta un dato congiunturale in un dato strutturale; lo proietta arbitrariamente per i prossimi due anni; considera un aumento lineare e non curvilineo dei benefici incrementali alla discesa del prezzo; considera in modo discutibile che la reazione del Pil italiano sia uguale a quella a livello mondiale». Più nello specifico, «sul fatto che il prezzo sia destinato a essere basso per lo shale gas sono d’accordo. Ma la discesa non è del tutto strutturale, è inaccettabile l’assunzione che il prezzo rimarrà su questi livelli per due anni. È un auspicio». Inoltre, continua Carnevale-Maffè, «il petrolio pesa per l’1,1% sul 2,5% di crescita aggiuntiva stimata del 2016. L’Fmi calcola il tasso medio di crescita a livello mondiale, ma l’Italia non ha oggi in sé i fattori di produzione mondiale, anche perché esce da 5 anni di rcessione». 

Dubbioso anche Giorgio Arfaras: «Il prezzo del petrolio è stimato a 45 dollari per un anno e mezzo – commenta -. C’è chi dice, come l’Eni, che salirà a 55-50 dollari. L’effetto nel 2016 sarà dello 0,8% invece che dell’1,1 per cento. Resto però dubbioso, non tanto sul prezzo, ma sull’impatto del calo del petrolio. Nomisma ha evidenziato (con un post di Sergio De Nardis ripreso da Linkiesta) come l’effetto moltiplicatore dell’abbassamento del prezzo del petrolio sia minore se i tassi e l’inflazione sono bassi». 

Euro

CSC: “Prosegue la svalutazione dell’euro: -8,3% il tasso di cambio effettivo nominale da maggio 2014 a fine gennaio 2015. È favorita dalle misure espansive Bce e dalla persistente debolezza dell’economia dell’Area. La svalutazione offre un freno alle pressioni deflazionistiche, derivanti anche dal crollo delle quotazioni oil, e una spinta all’export, che si realizzerà pienamente nel corso del 2015, favorendo la ripresa. In particolare, l’euro si è molto indebolito sul dollaro (-18,3%), al livello minimo da 11 anni, (…) esulle monete a esso agganciate (-18,4% sullo yuan)”, oltre che sul franco svizzero. 

L’impatto stimato sul Pil è dello 0,7% nel 2015 e dello 0,8% nel 2016. 

Per Carnevale-Maffè il «cambio è l’unico fattore certo del Qe. Gli altri Paesi, in particolare gli Stati Uniti, hanno finito le misure di quantitative easing, noi lo cominciamo. È un fatto meccanico, l’euro si svaluta per definizione. È una cosa buona se l’esportazione è verso paesi in cui si usa il dollaro. Oggi il 10-15% dell’export è verso gli Usa. Importiamo tanto anche in dollari, ma questo effetto negativo è compensato dal calo del petrolio». L’effetto non sarà però univoco: «Ma che dire della Russia? – si chiede il professore -. Tra il tasso di cambio e le sanzioni, perché la Russia non viene messa dentro il modello? Non è metodologicamente corretto». Sul punto, invece, Giorgio Arfaras ritiene “credibili’ le stime, «sul punto sono agnostico». 

Tassi reali a lungo termine

CSC: “La Bce ha varato il 22 gennaio acquisti di titoli pubblici e privati per 1.140 miliardi. Ciò è in grado di abbassare i tassi reali a lunga nella media dell’Area euro di 109 punti base (stime CSC). (…) I minori rendimenti a lunga riducono il costo del denaro. In Italia il tasso sul credito alle aziende, già diminuito negli ultimi mesi, può scendere di almeno altri 0,4 punti grazie alle nuove misure Bce, con risparmi sugli interessi per 3,2 miliardi di euro all’anno”.

L’impatto stimato sul Pil è dello 0,2% nel 2015 e dello 0,4% nel 2016. 

Secondo Arfaras, «l’effetto dei tassi reali è realistico. Uno studio recentissimo di JP Morgan simula gli impatti delle variabili finanziarie sull’economia. L’impatto dovrebbe essere positivo in modo significativo e più forte nei paesi periferici dell’Ue». 

Meno fiducioso è Carnevale-Maffè. «Non vedo il modellino che sta sotto i dati». «Quando si parla di tassi reali a lungo termine – continua – quello che conta sono le sofferenze (i crediti deteriorati verso soggetti debitori insolventi, ndr) e i vincoli patrimoniali. Il Csc non ha considerato la stretta sui vincoli patrimoniali mandata via lettera dalla Bce alle banche», con la quale l’Eurotower ha chiesto a una decina di istituti di credito italiani di alzare il coefficiente patrimoniale minimo da rispettare (o floor) dal 7% previsto da Basilea 3 al 10% in media. Il professore della Bocconi invita anche a considerare che il Quantitative easing, «non avendo mutualizzato i rischi (in capo alla Bce solo per il 20%, ndr) ha aumentato i rischi relativi sul sistema Paese, pur essendo bassi quelli assoluti. Dobbiamo anche considerare che se finiamo sotto l’investment grade perdiamo la possibilità che i nostri titoli siano acquisiti dalla Bce. Siamo con la pistola alla tempia di Standard & Poor’s». 

Per Arfaras il Qe va visto alla luce degli effetti che può avere sul piano Juncker, da 300 miliardi, di cui solo un decimo da fonti europee. «Il piano Juncker aveva una leva elevatissima, pari a dieci, e non si capiva da dove venissero i soldi. Con il Qe la Bce ha un piano di acquisto europeo di obbligazioni private, tra queste ci saranno anche quelle che finanziano le infrastrutture». Secondo lo studioso del Centro Einaudi, un eventuale crollo della Grecia non avrà effetto. «A differenza del 2010-2011, c’è tutto un sistema di protezione della Banca d’Italia e della Bce che fa sì che se la Grecia è un problema è un problema greco. I rendimenti greci sono al 15% e non qui in Italia non sta succedendo nulla. Potrebbe esserci qualche rischio se si incancrenisce la vicenda ucraina, ma non troppo, perché se non vendono il gas i russi non vanno avanti». 

Commercio Mondiale

CSC: “L’accelerazione del commercio mondiale vede un passaggio da “+3,2% nel 2014 a+4,4% nel 2015 e +4,5% nel 2016”. L’impatto stimato sul Pil è dello 0,5% nel 2015 e dello 0,3% nel 2016”. 

«Quali sono le fonti? – si chiede Carnevale-Maffè -. La stima non mi convince. Ammesso che la crescita del commercio mondiale sia come quella riportata, bisogna vedere se riguarda il nostro Pil. Per esempio, abbiamo esternalizzato molta produzione di fascia bassa, abbiamo molto ridotto le produzioni di automobili». 

Per Fortis, «la crescita del commercio internazionale si compone di due elementi: quella extra-Ue non sarà straordinaria, perché i Paesi petroliferi saranno in calo. Ma dato che la discesa del prezzo del petrolio e la discesa dell’euro favorisce tutta l’eurozona, ci sarà una crescita anche in Germania. Salirà ragionevolmente il commercio intra-comunitario».

Le altre spinte

Tra gli altri fattori positivi (non quantificati nelle stime di crescita) il Csc cita le “politiche più orientate alla crescita, che daranno maggiore sostegno all’occupazione e agli investimenti, grazie anche alla flessibilità conquistata a Bruxelles”. Ci sono poi “gli indicatori congiunturali che segnalano la stabilizzazione della domanda interna e della produzione”.

Fortis sottolinea come ci siano «componenti sotterranee della crescita. L’indice degli ordini della meccanica dell’Ucimu dice che nel quarto trimestre 2014 c’è stato un aumento del 18,8% degli ordini interni e del 19,3% di quelli esteri nel quarto trimestre del 2014. Finalmente sale anche la domanda interna, in questo caso anche grazie alla nuova legge Sabatini, che ha dato vantaggi fiscali sugli investimenti per le macchine utensili. Sono politiche micro che hanno effetti macro. Gli investimenti privati erano crollati e vedere che ora, dando un minimo di vantaggio, le imprese ne approfittano è importante». Particolarmente interessanti sono, per Fortis, i segnali positivi che vengono dalle costruzioni (l’indice di fiducia delle imprese di costruzioni è salito a gennaio da 72,6 a 77,3). Il contesto «è migliore delle aspettative. Potrebbe esserci un ribaltamento della situazione. Potremmo anche aspettarci un miglioramento del rating». 

Come leggere l’ottimismo di Confindustria, che ha scelto di privilegiare gli scenari più positivi, a partire da quello sul petrolio? Per Fortis «il Csc è un centro studi che cerca di anticipare le tendenze, sia nelle fasi pessimistiche che in quelle ottimistiche. Forse hanno dei feedback dalle imprese, anche dai territori. Quando vede che il piatto della bilancia si sposta, intuisce prima degli altri». Per Carnevale-Maffè più segnali dalle imprese sono segnali alle imprese. «Nell’economia dell’ottimismo è indispensabile – commena -. Confindustria fa bene perché gli imprenditori sono troppo pessimisti. Lo Stato li ha massacrati dal punto di vista fiscale e regolatorio. Soffriamo una crisi degli investimenti, scesi del 30% negli ultimi anni. Fa bene a dire ai suoi che ci sono spazi di ottimismo. Fa però il contrario di quello che deve dare un centro studi, cioè un discorso politico. Diciamo che sono delle endorfine economiche messe in circolo».

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